Una passione che mette le ali: i droni di Marco Valeriani

Una passione che mette le ali: i droni di Marco Valeriani

Ha solo nove anni quando mette gli occhi su un piccolo velivolo d'altri tempi. Oggi crea aeromobili telecomandati, che stanno trovando impieghi sempre più diffusi, e li mette alla prova nel cielo di San Marino. Ecco la sua storia.

Per noi “sipuléin” riminesi (sul Titano, qualcuno ci definisce così), volendo rispettare i limiti di velocità, raggiungere Chiesanuova che tra i nove Castelli di San Marino è uno dei più lontani da Rimini, significa guidare per non meno di mezz’ora. Ma se è per andare a conoscere “Archimede”, la trasferta ne vale la pena. In zona, la persona di cui parlo è chiamata così perché spesso succede che riesca a escogitare o applicare qualche migliorìa su ciò che gli capita sottomano, sia in ambiente lavorativo che hobbistico. E a proposito di hobby, Marco Valeriani, 58enne nato a Cesena, ma residente a San Marino dal ’96, in particolare ne ha uno: ama scaricare in aria il frutto della propria abilità creativa, sprigionata attraverso le eliche dei droni. L’ho incontrato nel campo di volo che utilizza poco lontano da casa. Ma prima di arrivare all’intervista, dal suo racconto riporto un episodio rivelatore accaduto molti anni fa. È quello che ha condotto un ragazzino a prendersi una “cotta”. E non di quelle passeggere.
Nei primi anni ’70, quando a Marco Valeriani spunta la prima “ala” ha circa 9 anni ed è sicuramente un bravo bambino, tuttavia non pensate che l’ala sia quella di un angelo, infatti non gli cresce all’altezza di una scapola. Del resto, come amava dire Jean Cocteau, “gli angeli volano perché si prendono alla leggera”. Nel caso specifico, molto più semplicemente, “ala” è il termine con cui gli aeromodellisti chiamano in gergo l’aeroplano, specialmente quando questo è oggetto della loro passione. Lungo la strada che lo porta a scuola, Marco si imbatte nel Super Scoiattolo da “volo vincolato” (aereo con un piccolo motore a scoppio che si governa tramite due sottili cavi d’acciaio collegati a una manopola). Lo vede in un negozietto specializzato in modellismo da costruzione che espone il piccolo velivolo, adagiato nella scatola di montaggio azzurro cielo. Per il ragazzino, restare lunghi minuti con occhi ipnotizzati davanti alla vetrina, diventa un rito che si ripete durante tutto l’anno scolastico. Il sogno di vederlo librare in aria lo realizzerà solo tempo dopo, ma dal preciso istante dell’innamoramento, la passione per la navigazione aerea sarà, se non l’assoluto tema conduttore della propria vita, certamente una compagna fedele, talvolta perfino consolatoria.

Marco Valeriani nel suo piccolo laboratorio dove prendono forma i suoi sogni volanti.

Valeriani, dopo il colpo di fulmine, quali sono le tappe successive del suo passatempo preferito?
«A 12 anni riesco finalmente a convincere i miei genitori a regalarmi il mitico “Super Scoiattolo” della Aviomodelli Cremona (il patron Adriano Castellani nel 1945 fondò anche le riviste “L’Aviazione popolare” e “L’Aviazione per tutti; ndr) con cui faccio esperienza e mi diverto fino ai 15/16 anni. Poi però, per un periodo di tempo devo rinunciarvi perché il lavoro di cameriere (il “passatempo” che ho praticato in quegli anni) non me lo consente. Riprendo quando apro un’attività di rosticceria insieme con mia madre. Anche grazie a lei, riesco a ritagliarmi uno spazio per il mio svago prediletto».

L’immagine del Super Scoiattolo è stata gentilmente concessa dall’utente eBay “Markluk”.

Quindi con la nuova occupazione sono ricominciati anche i decolli.
«Non so se capiti anche ad altri, ma nella mia vita c’è sempre qualcosa che ritorna, che riaffiora. Momentaneamente, magari dici basta a qualcosa perché la vita per qualche motivo ti porta a fare altro, anche se ti interessa molto, ma prima o poi quel “qualcosa” torna. Per quanto mi riguarda, per il volo è andata così. L’entusiasmo riprende quindi la giusta quota. Ricomincio volando con gli aeromodelli radiocomandati (a parte il motore, rigorosamente auto costruiti) per due/tre anni. All’epoca andavo in un campetto di volo presso l’aeroporto Francesco Baracca di Ravenna, quando un bel giorno vedo volare gli elicotteri. Me ne innamoro immediatamente. Decido che d’ora in poi avrei volato con quelli. Potrei sembrare volubile, ma non è così perché le “macchine” sono solo il tramite, gli strumenti che consentono di raggiungere quel solo obiettivo: volare. O per meglio dire, far volare qualcosa. Nonostante le grandi difficoltà di manovra e di apprendimento che mi paventano altri appassionati di aeromodellismo con maggior esperienza di me, dopo due mesi ho tra le mani e riesco già a governare abbastanza dignitosamente un elicottero. Imparo i segreti dei rotori grazie ai consigli e all’esperienza dell’amico Maurizio Cangini, un veterano, ma soprattutto un mèntore a cui rimarrò grato per sempre».

Inizia una nuova avventura. Cambiano le remiganti, ma il cielo rimane un punto fisso. È così?
«Sì, nel frattempo mi sposo con una ragazza sammarinese. Vengo a vivere qua a San Marino. Casualmente entro in contatto con Stefano Lucchi, campione italiano di volo con elicottero. Per me è un insperabile salto di qualità. Dietro sua richiesta, realizzo uno dei primi carrelli retrattili. Le ruote, corpi antidinamici per antonomasia, dopo il decollo rientrano all’interno di fusoliere molto filanti e leggere. Con lui si apre un mondo nuovo e stimolante. Con lui affino il mio modo di tarare le meccaniche e mettere a punto il comparto elettronico. Ma un brutto giorno arriva il momento di affrontare la malattia che aggredisce mia moglie. Dopo quasi otto anni, purtroppo ci dobbiamo arrendere. A volte, la vita infligge sciabolate che ti fanno vacillare e così è stato per me. Il fendente è terribile. Mi rinchiudo a leccarmi le ferite e smetto anche di volare. Vendo in blocco il materiale che ho. Elicotteri, pezzi di ricambio, radiocomandi, ogni cosa che avesse attinenza con quel mondo che tanto amavo».

Alcuni droni realizzati da Marco Valeriani.

È una reazione più che comprensibile. Tutto diventa superfluo, inutile e lontano…
«È così. Ma piano piano, con le forze residue, riesco faticosamente a rialzarmi. Nel 2014, navigando sul web mi imbatto nel filmato di un drone. È lo spunto che fa riaccendere l’interesse, fino ad allora in stato letargico, del vecchio amore che come dicevo prima, ritorna. Inizialmente, la sfida con me stesso è individuare come funzionano i droni, come fanno a volare. Precedentemente al primo acquisto che fu una sorta di piccolo “muletto” per evitare l’ansia di temere rovinose rotture, mi domando quale obiettivo volessi perseguire. La risposta è: intendo costruirmelo da solo, voglio che quando sosta sospeso in aria rimanga immobile, che ritorni automaticamente al punto di partenza e che in definitiva abbia caratteristiche simili, in modo particolare, a uno di quelli che ora va per la maggiore, di cui non faccio il nome. Gli interrogativi che mi pongo sono molti: scheda elettronica, GPS, eliche: quali usare? La sfida inizia sempre in questo modo. Dietro a un progetto, come è normale che sia, le costanti sono lo studio, numerosi disegni, molte ricerche e prove. E risvegli notturni dovuti all’affollarsi di nuove idee…».

Alla fine è arrivato all’auto costruzione?
«I passi sono stati molti. Prima ho imparato a governare il mezzo meglio che potessi. Di “caduti in battaglia” e “feriti” rimessi insieme con pezzi cannibalizzati da precedenti schianti, naturalmente ce ne sono stati. Sono l’inevitabile prezzo che si deve pagare, ma è cosa puntualmente utile per capire e progredire. Comunque la mossa fondamentale è stata quella di comprare la stampante in 3D e il pantografo/fresa CNC (l’acronimo sta per “controllo numerico computerizzato” e significa che un dispositivo elettronico interno si occupa di comandare i movimenti e le funzioni della macchina durante la lavorazione a seconda di un predefinito programma di lavoro; ndr). L’acquisto è stato determinante anche per poter sostituire con più facilità le parti del telaio di alluminio (troppo morbide) con quelle in carbonio e realizzare particolari componenti che ho disegnato io grazie a programmi specifici».

“Quant’è bello e performante”, sembra pensare Marco mentre guarda con orgoglio la sua creatura.

Immagino che la tecnologia sia un aiuto indispensabile.
«Questo è sicuro, ed è talmente vero che per appassionati che come me non hanno competenze specifiche, è ormai irrinunciabile l’Open Source (in estrema semplificazione, l’OS permette a programmatori distanti di coordinarsi e lavorare allo stesso progetto ricevendo e mettendo a disposizione informazioni gratuite; ndr). Precedentemente mi limitavo ad assemblare diversi pezzi in base a caratteristiche che ritenevo più adatte al tipo di prestazioni che pensavo per il mio velivolo. Ora mi metto davanti al computer e mi trovo con la fantasia che cammina, ma mi rendo conto che ho sviluppato un’attitudine diversa per tradurre concretamente quanto immaginato. Ciò che ho assimilato proviene totalmente dal mio mondo di autodidatta e a parte il settore elettronico in cui intervengo solo per la configurazione e le eliche che ora richiedono accorgimenti tecnici troppo sofisticati, per il resto è tutto auto costruito. Credo che prima o poi, con il carbonio stamperò io stesso il telaio di un drone monoscocca, qualcosa di estremamente leggero e aerodinamico. Con forme affusolate, molto morbide. Oserei dire… quasi sensuali».

Nel campo di volo di San Marino per una dimostrazione sulle tante potenzialità di un drone.

Questo sembra un progetto molto ambizioso…
«Con le potenzialità che si hanno oggi rispetto a qualche decennio fa, se ci poniamo obiettivi precisi, i desideri che abbiamo riescono a diventare realtà. Ad esempio, oggi uno come me che non ha frequentato e non ha nessuna peculiare base scolastica, se non pone limiti ai confini dell’auto apprendimento e delle aspirazioni, un sogno riesce a realizzarlo. In breve, lo spirito che mi anima coincide con una frase che viene più volte ripetuta da Gene Wilder nel film comico Frankenstein Junior. Wilder interpreta il nipote del celebre dottore tedesco e la battuta, formulata con vigore, alla fine diventa un “leit motive” del film».

Pronti per il decollo.

Quale sarebbe l’iconica frase?
«Si – può – faree!…».

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