C’è già il primo appello al nuovo vescovo e riguarda il Tempio Malatestiano

C’è già il primo appello al nuovo vescovo e riguarda il Tempio Malatestiano

Si riferisce alla richiesta di rimediare a un grave vulnus al nostro Patrimonio culturale che si è consumato e si consuma nella Cattedrale: l'affresco di Piero della Francesca "inopinatamente spostato dalla sua sede storica".

Eccellenza carissima,
nell’augurare un felice inizio del Suo governo della nostra diocesi, ci permettiamo di rivolgerle la richiesta che voglia prendere in considerazione la possibilità di rimediare a un grave vulnus al nostro Patrimonio culturale che si è consumato e si consuma nella Sua Cattedrale, il Tempio Malatestiano.
Il meraviglioso e noto a tutti in Italia e nel Mondo affresco Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a Santo Sigismondo Re dei Burgundi, datato al 1451, che il Signore di Rimini aveva commissionato al grandissimo pittore Piero della Francesca, in anni passati è stato inopinatamente spostato dalla sua sede storica sulla parete interna sopra la porta dell’Oratorio del Signore chiamato Cappella delle Reliquie, in piena luce, e trasferito al buio, tra due finestre, nella quarta cappella in cornu Epistolae, sopra l’antico altare maggiore della Cattedrale qui spostato.
La gravità di questo spostamento e manomissione compromette lo status fisico e culturale dell’opera, ed espone l’affresco alla possibilità di essere facilmente raggiunto e distrutto o deturpato da un qualche malintenzionato.
Eccellenza noi confidiamo nella sua sensibilità storica e artistica, ben coscienti che la maggior parte delle opere del nostro Patrimonio culturale nazionale, che appartiene a noi e al Mondo, è millenaria opera della Chiesa, e siamo preoccupati per questa umiliazione e diminuzione di un capolavoro assoluto. Aspettiamo fiduciosi una sua gentile risposta.

Italia Nostra Sezione di Rimini
Renata Tebaldi Rimini Città d’Arte

STORIA VERA DI UN CAPOLAVORO

Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468) decide la costruzione della Cappella di San Sigismondo, la cui prima pietra è posta dal vescovo Bartolomeo dei Malatesta, suo parente, il 31 ottobre 1447. La Cappella di San Sigismondo, l’Oratorio intermedio e la Cappella degli Angeli sono finite il 7 aprile del 1449, quando Sigismondo Pandolfo scrive a Giovanni de Medici, secondogenito di Cosimo il Vecchio, perché gli mandi da Firenze un pittore per affrescare le cappelle. Nello stesso anno Piero della Francesca non stava a Firenze ma era a Ferrara al servizio di Leonello d’Este, per lavori nel Castello e in altri luoghi della città.

L’Anno Santo 1450 papa Niccolò V si trasferisce da Roma a Fabriano con la corte e la curia pontificie per sfuggire ai pericoli della peste. Sigismondo Pandolfo va a Fabriano per onorare il Pontefice che lo amava. È a Fabriano, nella tarda estate, nel corso di una visita al pontefice, che per la seconda volta il Signore di Rimini si incontra con Leon Battista Alberti, che era un funzionario pontificio con l’incarico di Abbreviatore, si occupava del duro e faticoso lavoro di leggere ogni mattina la posta pontificia e di abbozzare le risposte. La prima volta il Malatesta aveva incontrato l’Alberti a Firenze nel 1436, al momento della inaugurazione della cupola di Santa Maria del Fiore da parte di papa Eugenio IV, a Firenze con la sua corte e curia. È anche il momento della progettazione di Castel Sismondo da parte di Filippo Brunelleschi, non senza un intervento albertiano, riscontrabile nella progettazione della coeva rocca di Fano.
A Fabriano l’Alberti convince Sigismondo Pandolfo a rivestire le pareti delle cappelle con crustae marmoree e poi, nel clima culturale del papa a cui piaceva “murare” e che avrebbe dato inizio al cantiere della nuova Basilica di San Pietro, Sigismondo Pandolfo prende la decisione di costruire un Tempio completo affidandola all’Alberti.

Il pontefice Niccolò V, che amava il Malatesta – certamente ricordando che lo zio Carlo dei Malatesta nel 1416 aveva posto fine allo Scisma di Occidente, portando a Costanza la rinuncia di Gregorio XII, il papa romano rifugiato a Rimini, salvando così la validità del Concilio e la successione apostolica di papa Martino V, e amava anche la sua amica Isotta, alla quale aveva concesso dei privilegi per la Cappella degli Angeli, ovvio che non approvava l’adultero, ma certamente affrontava lo scandalo con le buone – assai probabilmente gli concesse di portare a Rimini l’Alberti. A Rimini l’Alberti mise in coltivazione una cava di selenite, come scrive nel de architectura e preparò il modellino del Tempio. Vanno dunque prese alla lettera le date MCCCCL incise nel frego della facciata del Tempio e nelle medaglie di Matteo de Pasti.

Nel 1451, richiesto al marchese Leonello d’Este suo cognato il pittore Piero della Francesca, il Malatesta fece dipingere nell’Oratorio tra le due prime cappelle l’affresco della preghiera di Sigismondo Pandolfo al suo santo protettore Sigismondo re dei Burgundi, che nell’affresco porta le vesti e il cappello dell’Imperatore Sigismondo di Lussemburgo, re d’Ungheria.
Questi dettagli ‘ungheresi’ ci consentono di guardare con simpatia alla lectio difficilior delle lettere che seguono il nome del Malatesta nell’affresco non come il solito P(andulphi) F(ilius), ma come E(ques) P(annoniae) Cavaliere del re d’Ungheria, proposto da Angelo Turchini.

Giovanni Rimondini

L’affresco nella sua collocazione originaria (immagine da: Pier Giorgio Pasini, “Il Tempio Malatestiano”, Fondazione Cassa di Risparmio, 2000, p. 32) nella cappella (o Cella) delle Reliquie.

Le numerose critiche piovute nel corso degli anni
Il primo a tuonare fu Vittorio Sgarbi nell’estate del 2001, in veste di sottosegretario ai Beni culturali, sia a proposito dello storico altare maggiore sostituito con uno in metallo e travertino con lo stemma vescovile, e sia in merito all’affresco, parlando di “dissacrazioni” nei restauri e inserendo il Tempio Malatestiano di Rimini nella “black list” insieme con il Duomo di Pisa (Corriere della Sera). Sgarbi disse che l’affresco doveva rimanere nel suo luogo originario perché era stato dipinto davanti a una fonte di luce traendo da questa la migliore illuminazione come d’altra parte aveva voluto Piero della Francesca.

Più di recente Alessandro Marchi, storico dell’arte, funzionario Mibact, direttore del Forte di San Leo, del Museo archeologico nazionale di Sarsina e della Villa romana di Russi, ha spiegato che “l’affresco era destinato alla cella delle reliquie, cioè a una dimensione privata, e collocarlo dietro a un altare è erroneo, addirittura, se l’altare fosse consacrato, il sacerdote, celebrando, innalzerebbe l’ostia verso il ritratto di Sigismondo Malatesta, che decisamente non era un santo: venne scomunicato da papa Pio II il giorno di Natale del 1460″. Marchi ha parlato anche di tradimento del significato delle immagini: “Dà l’idea di come siamo tristemente ignoranti rispetto alla cultura del passato. È un fatto irrispettoso, prova che nessuno conosce la storia dell’arte e i suoi meccanismi più intimi, intrecciati profondamente al momento storico in cui le opere sono state realizzate. Io mi immagino che lui, Sigismondo, se la rida, che dica “questa è la mia vendetta nei confronti di Pio II”. Una vendetta e insieme un trionfo, una rivincita impossibile: dalla polvere sugli altari” (Corriere di Rimini).

Anche Rimini Città d’Arte e in particolare il prof. Giovanni Rimondini hanno più volte anche in passato richiamato l’attenzione sull’affresco “fuori posto” e “trasferito nel buio di una cappella“.

Moreno Neri, profondo conoscitore del Tempio Malatestiano, ha invece definito quella della Curia una scelta “culturalmente irresponsabile e contraria alle ragioni dell’arte e della storia“.

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