Il ruolo delle associazioni di categoria nel nostro turismo: la lettera di Gabriele Bucci

Il ruolo delle associazioni di categoria nel nostro turismo: la lettera di Gabriele Bucci

L'ex direttore dell'Aia di Rimini prende la parola sulla scia dell'analisi svolta da "un albergatore", che sta sollevando dibattito. Pone l'accento sulla sfida per le diverse sigle rappresentative di saper diventare "classe dirigente". Sono sempre le persone che determinano il risultato: "c’è chi si impasta con il sistema e chi riesce a generare una dialettica pubblico-privato capace di innalzare la qualità del confronto e delle decisioni". Il peso dei presidenti "a vita" e della "stessa linea" che ingessano le situazioni. "Se ai miei tempi il nostro associazionismo d’impresa cercava di estendersi all’esterno e “contaminare” in positivo il settore pubblico, oggi forse avviene il contrario?".

di Gabriele Bucci

Leggendo il commento dell’acuto albergatore (qui), forse per deformazione professionale, mi è parso utile soffermarmi sui passaggi dedicati all’associazionismo.
Mi sono tornati in mente alcuni principi che ho provato ad attuare nei miei anni passati in tale ambito.
Innanzitutto, le associazioni devono occuparsi non solo del proprio “particulare” (tutelare interessi ed erogare servizi), ma anche della qualità della città e del suo sviluppo economico.
Solo così la categoria alberghiera si sarebbe meritata la considerazione della comunità e l’accesso ai meccanismi decisionali.
In secundis, poiché la classe dirigente non può essere solo quella designata nelle elezioni comunali, le associazioni devono diventare tanto rappresentative e propositive da essere esse stesse classe dirigente della città.
Per realizzare tutto questo occorreva dimostrarsi all’altezza del compito.
Ad esempio, contribuire con risorse proprie (vedi partecipazioni privatizzazione di Rimini Fiera e Aeradria, nascita AIA Palas per finanziare nuovo palacongressi, etc.), ma anche formare dirigenti di categoria che, per comprendere e inserirsi appieno nei meccanismi di governo della città, imparassero a ragionare non solo come rappresentanti alberghieri, ma anche come amministratori pubblici.
Al proposito, organizzai seminari ad hoc per la formazione di questa nuova classe dirigente (dal role playing al parlare in pubblico, dall’organizzazione associativa alla rappresentanza di interessi, dalla programmazione urbanistica alla pianificazione strategica e altri ancora) e ci fu un periodo, quello che portò poi Ermeti alla guida del piano strategico, durante il quale per un anno circa, ogni giovedì sera a casa di Marina Lappi, Presidente di P.A., si andava a scuola di politica e di amministrazione comunale.
Altro principio importante per un buon associazionismo è quello di fare rete (qualche anno dopo Errani lo chiamò “fare sistema”) con le altre associazioni ed organizzazioni imprenditoriali.
A fine anni 90, facemmo nascere la Consulta delle Associazioni di Categoria (di cui assicuravamo la sede e il coordinamento) e il Coordinamento delle AIA della Costa che, dopo tanti anni di diffidenza reciproca (soprattutto fra Rimini e Riccione), riuscì finalmente ad unire gli albergatori della Riviera di Rimini.
Organizzammo convegni, come quello del 2000 su una nuova visione della città del mare (quello che lanciò, fra l’altro il programma d’area dei lungomari), campagne d’affissione sull’eliminazione delle auto dai lungomari e delle zone pregiate della città, progetti come quello in partnership con Sviluppo Italia per la riconversione delle strutture degradate e l’acquisto agevolato degli hotel da parte degli affittuari (ci lavorammo anche con ERVET, verificando anche la nascita di una Società di Trasformazione Urbana).
Portammo imprenditori innovativi disposti a comprare e riqualificare le vecchie colonie.
Ricordo l’incontro per la Novarese con un grande gruppo alberghiero per il progetto di sport & benessere “Beauty World” e, per la Bolognese, quello con imprenditori di Perugia e l’allora proprietario, mio prozio Veleno, al secolo Aldo Gino Foschi.
Altro principio aureo di un sano associazionismo è quello di dialogare costantemente e propositivamente con le Istituzioni pubbliche e gli Enti Locali. Non già aspettando le proposte per poi criticarle, ma formulando noi stessi le proposte, cercando poi di condividerle con i settori pubblici competenti.
Ogni anno, con P.A. e poi anche con Ascom Fidi, organizzavamo una convention che vedeva la partecipazione di politici, amministratori pubblici, uomini d’impresa, esperti di settore, etc. nella quale affrontavamo temi di grande rilevo.
Solo per fare alcuni esempi, la metodologia per unire promozione e commercializzazione turistica fu lanciata nella convention del 1998 in parallelo con la Legge Errani; il progetto dei nuovi lungomari pedonalizzati (grazie ad una strada e parcheggi sotterranei fu discusso nell’edizione del 1999; l’idea del distretto turistico integrato e di quel che divenne poi la Notte Rosa vennero in quella del 2005; la definizione di modalità e contenuti della partecipazione privata nella pianificazione strategica di Rimini nel 2006).
Per dare sostanza a questi principi, era fondamentale avere un Presidente e persone di punta nel gruppo dirigente che, come si dice, fossero conseguenti, nel senso di tradurre, nel loro specifico alberghiero, le politiche turistiche che chiedevano al pubblico di realizzare.
Ai tempi, AIA e P.A. potevano contare su un gruppo di giovani (o diversamente tali) uscito vincitore dallo scontro generazionale, rispettivamente con il Cavalier Mario Petrucci e l’Onorevole Nicola Sanese, e che intendeva crescere nella rappresentanza di categoria così come ognuno di loro voleva crescere come imprenditore del turismo. E per questo veniva percepito credibile e affidabile quando proponeva idee, progetti, programmi, politiche per il turismo.
Ad esempio, nel gruppo dirigente c’era chi riqualificava in modo importante la propria struttura, ne acquisiva altre creando una sua piccola catena alberghiera, si dotava di altre aziende delle filiera turistica per costruire un’offerta turistica integrata, entrava in rete con i colleghi, anche di altre categorie, per conquistare target turistici specializzati, sperimentava modelli di apertura annuale con personale qualificato e offerta internazionale.
E c’era anche chi si preparava, studiando e imparando da chi ne sapeva di più, a portare una visione ed un modus operandi tipicamente del settore privato anche in certi sistemi pubblici e in quegli ambiti fino a quel momento monopolio dei partiti.
Non intendo negare come l’assunzione di tali ruoli possa aver prodotto, come per il gatto di Trilussa, in alcuni rappresentanti dell’imprenditoria privata un certo riallineamento alle logiche pubbliche.
Penso, tuttavia, che sia stata una cosa giusta quella di allargare la classe dirigente portando ai livelli decisionali pubblici anche gli uomini dell’impresa privata.
Alla fine, sono sempre le persone che determinano il risultato: c’è chi si impasta con il sistema e smarrisce la propria “mission” e c’è chi invece, con il coraggio della persona e la forza delle idee, riesce a generare una dialettica pubblico-privato capace di innalzare la qualità del confronto e delle decisioni.
E se finora ho inteso parlarvi della mia idea di associazionismo assertivo, proattivo si direbbe oggi, che travalica i suoi confini tradizionali per cimentarsi nella costruzione del bene comune, questo excursus non può chiudersi senza una considerazione sull’associazionismo nella sua parte interna.
Oggi io vedo associazioni turistiche che hanno apparati e risorse che prima non avevano: Enti Bilaterali, Centri di Assistenza tecnica, Società di sistema, Fondi Paritetici, Fondi governativi, europei, da PNRR e così via.
Associazioni che, al contempo, si devono occupare di questioni sempre più complesse e di ardua risoluzione. Alcune, penso a Riccione, hanno una capacità di comprensione e reazione di un tipo, altre di un altro.
In alcune di queste, come succede anche alla politica, sembrano mancare le grandi vocazioni e la capacità di ricambio delle classi dirigenti.
I Presidenti diventano a vita, come i senatori o i leaders comunisti. O, per sentirsi più importanti, erodono via via il ruolo dei Direttori.
Un tempo si diceva “i Presidenti cambiano, ma i Direttori rimangono”, oggi sembra vero il contrario.
E non è un bene.
Forse in questo c’è un eccesso di attaccamento, come si dice, alla poltrona, ma c’è anche il demerito delle nuove leve, che non si assumono l’onore e l’onere di dirigere e rappresentare la loro categoria, creando competizione di idee e alternanza nei ruoli.
C’è poi un’altra possibile causa: l’ambiente associativo.
Se è un ambiente chiuso dove a dominare è sempre la stessa linea e le stesse persone, mi sembra difficile ogni evoluzione in positivo.

Le cose, invece, cambierebbero se tu crei un ambiente aperto, dove le idee nuove circolano e si impara qualcosa di importante. Dove ci sono persone esperte che ti supportano mentre “ti fai le ossa”, ci si danno obiettivi “sfidanti” sui quali impegnare cuore e mente, si lavora su progetti per il presente e prospettive d’avvenire, sono presenti dei leaders nei quali identificarsi e ispirarsi.
In mancanza di una o più di queste “componenti”, si genera stasi di ideazione, entropia operativa, carenza di alternanza nella leadership, difetti di assertività e intraprendenza. Evidenti punti di debolezza dei quali il pubblico approfitta per occupare spazi che un tempo furono privati.
Come in un gioco dell’oca, se ai miei tempi il nostro associazionismo d’impresa cercava di estendersi all’esterno e “contaminare” in positivo il settore pubblico, oggi forse avviene il contrario?
Magari sbaglio a dirlo, in quanto undici anni fa mi sono tirato volontariamente fuori dal sistema di rappresentanza perché non era più quello che, nel mio piccolo, avevo contribuito a costruire.
La passione però mi è rimasta intatta.
Sono cresciuto in un albergo, ho fatto il cameriere, il bagnino e poi mi son trovato professionalmente a rappresentare alberghi, ristoranti, bar di spiaggia, camping, agenzie di viaggio, locali da ballo…
E, se sono stato compiacente o severo nei giudizi, me lo perdonerete.
E’ per il troppo amore, per la troppa fiducia nel futuro del nostro turismo, non per eccesso di critica a chi oggi, nel privato, lo rappresenta.
Per questo credo che, anche nell’associazionismo d’impresa nel turismo, si possa ancora fare di più e di meglio.

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