Lambiasi va in pensione e per Zuppi si parla di un importante incarico in Vaticano

Lambiasi va in pensione e per Zuppi si parla di un importante incarico in Vaticano

A settembre il vescovo compirà 75 anni e dunque è prossimo a lasciare. Difficile dire se accadrà nel 2022 o nell'anno seguente, quando anche mons. Turazzi dovrà rassegnare le dimissioni. Si rincorrono le voci su un nuovo accorpamento fra le diocesi di Rimini e San Marino-Montefeltro. Mentre di certo tutti gli occhi sono puntati in questo momento sull'arcivescovo di Bologna. Ecco perché.

Arrivò a Rimini nel 2007, prendendo possesso della Diocesi il 15 settembre. Si insediò dopo un periodo abbastanza movimentato per la Chiesa riminese, quello segnato soprattutto dagli ultimi anni di regno di mons. Mariano De Nicolò. Un pastore pacificatore, mons. Francesco Lambiasi, chiamato a spegnere le frizioni e a riportare l’attenzione sul messaggio evangelico.
Quest’anno, a settembre, compirà 75 anni e dunque l’età delle dimissioni nelle mani del papa per raggiunti limiti di età. Questo non significa che dovrà lasciare subito la Diocesi ma ormai il tempo dell’avvicendamento è prossimo.
Docente di teologia, rettore del Pontificio Collegio Leoniano di Anagni, viene nominato vescovo di Anagni-Alatri (dove rimane solo un anno e mezzo) da Giovanni Paolo II nel 1999 e nel 2001 diventa assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica Italiana. Con una preparazione teologica solida, l’amore per la scrittura e le conferenze, Lambiasi si è fatto notare per uno stile sobrio e per una predicazione che per molti aspetti ha “anticipato” il magistero di papa Francesco. Gli ultimi, la povertà, il dialogo interreligioso, sono stati i suoi segni distintivi. «Un piccolo pastore e non il “Pastore grande delle pecore”» si è definito di recente nella lettera ai presbiteri in occasione del cinquantesimo della sua ordinazione sacerdotale. Ed ha certamente messo a fuoco un suo tratto decisivo quando ha parlato di sé come «prete per gli altri. Prete della gente, per la gente. Prete per la vita della gente».
Nella intervista che concesse a Rimini 2.0 nel 2016 ribadì che «Oggi c’è bisogno di abbracciare una cultura dell’accoglienza degli immigrati, in particolare dei richiedenti asilo. Occorre un convinto ed efficace sostegno per la lotta contro la povertà, per affrontare con cuore evangelico la questione dei Rom e Sinti, per rifiutare gli affitti in nero, per rigettare la rovinosa cultura del gioco azzardo».
Arrivato in Diocesi si è trovato a dover gestire l’eredità di mons. De Nicolò, tutt’altro che segnata dalla sobrietà. Ha ereditato un seminario nuovo e costoso che però non ha ospitato seminaristi, considerata la pesante crisi delle vocazioni che colpisce anche la Chiesa locale. Per la ristrutturazione del vecchio Seminario di Covignano furono spesi circa 10 milioni di euro e per il nuovo un po’ più di 12 milioni. E i costi affrontati negli anni precedenti al suo arrivo, insieme alle mutate condizioni economiche che si sono abbattute sul mondo a partire dal 2008, hanno contribuito a colorare di rosso i conti della Diocesi. Circa 35 milioni di euro è il debito calcolato quando il vescovo raduna il presbiterio e per voce dell’economo illustra la situazione finanziaria. Accade nel 2013, e Rimini 2.0 pubblica il resoconto di quella riunione. Ma nonostante la Chiesa italiana e il papa vadano predicando ormai da tempo «trasparenza sui nostri bilanci» e diverse Diocesi abbiano provveduto a pubblicarli, quella di Rimini ancora non l’ha fatto. Sul settimanale Il Ponte ogni tanto escono degli aggiornamenti, ma mediati dalla comunicazione dell’economo. Nel 2019 si è così saputo che i debiti erano scesi a 20 milioni, comunque ancora parecchi. Un capitolo, questo, che ha avuto un’eco anche a Roma e che ha pesato non poco sulle spalle di Lambiasi, il quale aveva immaginato di approdare in una Diocesi finanziariamente solida.
La sua vicenda di vescovo si è legata indissolubilmente con quella di don Oreste Benzi. A meno di due mesi dal suo arrivo a Rimini, Lambiasi ha dovuto celebrare il funerale del fondatore della comunità Papa Giovanni XXIII al Palacongressi di Rimini. Nel 2014 ha avviato la causa di beatificazione, con la fase diocesana che si è chiusa cinque anni dopo. Si può dire che don Oreste sia stato il faro dal quale Lambiasi ha sempre preso luce, più volte ripreso e citato a modello di vita cristiana. Altri e meno noti sono stati i rapporti di stima e frequentazione che il vescovo ha intessuto con i sacerdoti di Rimini, e uno di questi è stato don Giuseppe Maioli.
Molto coinvolgente per Lambiasi è stata anche la creatura più luminosa nata dal carisma di don Benzi, cioè Sandra Sabattini. Con la cerimonia che si è tenuta in Cattedrale lo scorso ottobre, il vescovo ha “chiuso” un capitolo impegnativo, non solo per il caso della beata “dissolta” e di fatto inesistente al momento della ricognizione canonica della salma, ma anche per l’impegno profuso in prima persona da Lambiasi, convinto da subito di trovarsi davanti ad «una vita spesa nel lieto e fedele compimento del proprio dovere, punteggiata da piccoli gesti di un amore teso all’estremo, in una appassionata amicizia con Cristo “povero e servo”, in un servizio generoso e infaticabile a favore dei poveri».
Rispetto invece alla impronta “politica”, dopo una fase iniziale nella quale il vescovo era sembrato muoversi con molta libertà, sferzando in qualche caso anche il potere costituito, col passare del tempo ha sempre più ammorbidito i toni, fino ad arrivare a firmare la carta dei valori ispirata ad Alberto Marvelli con il sindaco Gnassi, per terminare alle ultime elezioni amministrative nelle quali è sembrata abbastanza chiara la scelta di non puntare più sul cavallo vincente nel 2011, Gloria Lisi, a causa della sua rottura col Pd, mettendo in campo candidati molto vicini alla Curia, fra i quali anche il vicepresidente dell’Azione cattolica diocesana.
Complessa e per ora tutta da scrivere la successione a Lambiasi. Un nome possibile, di cui si è parlato anche in passato, è quello di don Andrea Turchini, che dopo aver lasciato Santarcangelo è diventato rettore del seminario di Bologna.
Si avvicina al termine del suo mandato episcopale anche il vescovo di San Marino-Montefeltro, mons. Andrea Turzazzi, 74 anni. E’ probabile che si torni (come accaduto fino al 1995, quando il 25 maggio venne nominato vescovo mons. Paolo Rabitti) ad un accorpamento con la Diocesi di Rimini, ipotesi già paventata in passato, e adesso ancora più concreta visti i precedenti (Carpi unita con Modena e si parla anche di Pesaro e Urbino con lo stesso destino)?
In regione c’è un’altra sede che a breve dovrebbe vedere un nuovo vescovo insediarsi. E’ quella di Reggio Emilia – Guastalla, dove mons. Massimo Camisasca ha già compiuto i 75 anni lo scorso novembre.
Ma tutti gli occhi sono puntati sul card. Matteo Zuppi. Sarà il suo il nome che uscirà dal prossimo conclave al momento della fumata bianca, come molti osservatori di cose vaticane pensano e scrivono? Oppure il suo prossimo trampolino di lancio sarà quello di presidente della Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna, nomina attesa più o meno il prossimo maggio? Lo si vedrà a tempo debito. Per il momento bisogna riferire una voce autorevole che circola e che mette in relazione il futuro prossimo dell’arcivescovo di Bologna con un incarico in Vaticano della massima importanza. Il 2021 si è chiuso con una notizia che ha fatto sobbalzare parecchi nella Chiesa: le dimissioni del cardinale ghanese Peter Turkson dalla guida del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Uno snodo cruciale per i temi che governa e che sono in cima all’agenda delle priorità di papa Bergoglio. Se dovesse essere Zuppi (che fa già parte di questo organismo della Curia romana dal febbraio del 2020) a prendere il posto del card. Turkson, come qualcuno sostiene, allora si potrebbe mettere insieme un altro indizio per sostenere che proprio lui stia davvero studiando da papa. A quel punto si aprirebbe anche tutto il capitolo del nuovo titolare della cattedra di San Petronio. Meglio non correre troppo.

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