Le tette di Cagnacci e le tettone di Fellini

Le tette di Cagnacci e le tettone di Fellini

Il pittore di Santarcangelo è famoso presso tutti gli esperti di pittura e presso il grande pubblico per i suoi nudi femminili con esposti entrambi i seni, in bella vista. Vittorio Sgrabi l'ha avvicinato a Fellini creatore filmico di tettone. Ma si tratta di un equivoco in cui è caduto tra i primi, se non per primo, Alberto Arbasino.

Guido Cagnacci, nato a Santarcangelo nel 1601 e morto presso la corte imperiale di Vienna nel 1663, è una delle nostre star pittoriche internazionali. Ci è stato scippato da pochi anni in una mostra di Forlì. E’ famoso presso tutti gli esperti di pittura e presso il grande pubblico per i suoi nudi femminili con esposti entrambi i seni, vulgo le tette, in bella vista… Vittorio Sgarbi l’ha avvicinato a Fellini creatore filmico di tettone… Ma si tratta di un equivoco in cui è caduto tra i primi, se non per primo, Alberto Arbasino:

“Ma davanti ai Cagnacci porcelli, che si faccia pure i maleducati: questo è talmente hanté [perseguitato] da una clientela vogliosa di tette turgide da salumiera e di seggioloni da notaio già finto-Cinquecento che abolisce guarnizioni e contorni e fa il vuoto intorno a questi capezzoli importanti su una pelle piena di salute al burro, e a queste borchie sopra la pelle…”

“tette turgide da salumiera” – immagine che tira la citazione felliniana, basta cambiare in “tabaccaia” – “capezzoli importanti su una pelle di salute al burro”, altrove “dipinti per boudoir di cardinali”. Così Alberto Arbasino in Fratelli d’Italia. Dopo di lui, credo, tutti i critici d’arte grandi, medi e piccoli, persino Paolucci, persino Sgarbi. Un trionfo collettivo dell’erotismo orale. Sbagliano tutti e lo dimostro.

Guido Cagnacci, Allegoria del tempo, Ferrara Fondazione Cavallini Sgarbi.

Breve inserto autobiografico – si può tranquillamente saltare –. Immagino che un mio lettore critico qui, e a maggior ragione avendo letto il mio file su Francesca e Paolo, si chieda: ma questo pataca qui chi crede di essere? Ahimè credo di essere un pataca che ha il dono avvelenato di accorgersi dei non pochi luoghi comuni errati e delle cribbiate che i grandi, i medi e i piccoli personaggi del mainstream [significa: i gruppi di potere nazionali e locali che controllano forme e contenuti del sapere ufficiale dell’arte e della storia; sono la Santa Inquisizione della Cultura, guai a dissentire] ripetono e ripetono acriticamente senza ragionarci sopra. Cattivo destino il mio, quasi come quello di Cassandra – vedete che me la credo – che finora mi ha procurato silenzi ostili e una sorte di morte civile critica. Sia chiaro: non è che mi ritenga migliore dei grandi che critico, so stare al mio posto. Fine dell’inserto autobiografico.

Guido Cagnacci, Lucrezia, Londra Collezione privata.

IMMAGINI DI DONNE CON I DUE SENI NUDI

E’ sbagliato pensare che in tutti i tempi “gli oggetti libidici” e l’etica sessuale, per esempio nel considerare le tette femminili, che per noi oggi sono l’oggetto sessuale ‘orale’ per definizione, abbiano avuto sempre un pieno valore libidico, esclusivo oggetto di piacere sessuale, e siano state sempre oggetto di censura come oggi sono per noi. I documenti storici ci suggeriscono invece l’esistenza nei diversi secoli di diverse scale dei valori affettivi corporei, emotivi e di piacere sessuale e nello stesso momento di diversi codici di proibizione etica, perché la sessualità è sempre stata oggetto di censure. Per noi, oggi, semplicemente guardando un nudo femminile del Cagnacci: “parrà talora che questo aspetto della produzione del Cagnacci, che sconfina in una raffinata quanto abilmente mascherata pornografia “apra” in direzione di Proud’hon, se non Bouguereau e della pittura “di salon” ottocentesca piuttosto che Manet o Renoir, come voleva Carla Ravaioli”. Così Daniele Benati.

Per noi oggi, ma nel ‘500 e nel ‘600 era così? No, non era così.
Per esserne convinti, cominciamo a ragionare su una pittura allegorica dello stesso Cagnacci, il cui significato non erotico è difficile da confutare: nella Galleria del principe del Liechtestein era conservato un suo quadro con “una femmina nuda con un calice in mano, nell’altra un libro con una palma sopra, lo Spirito Santo sopra, rappresentante la Fede cattolica” “un capolavoro di ambiguità”. Così Pier Giorgio Pasini. E’ un dipinto che dicono scomparso, di sicuro sui libri dedicati al Cagnacci, ma io credo di averne visto una riproduzione, se ricordo bene, e certamente, data la mia età di ottantenne, non posso fidarmi della mia memoria. Sul calice, nel mio ricordo, è dipinta l’ostia consacrata luminosissima. Ma al momento non ne ho trovato una riproduzione né nei cataloghi delle ultime mostre, né tra le immagini del pc.
Mettere a contatto l’Eucarestia con i seni femminili scoperti era una bestemmia? No, non lo era.
Abbiamo altri esempi.
Per la tomba di papa Paolo III destinata alla basilica di San Pietro, nella prima edizione fastosa, Guglielmo della Porta aveva scolpito diverse allegorie in forma di donne dai seni scoperti: la Giustizia, che Annibal Caro nel 1553 descriveva al cardinale Farnese come “una donna ignuda ch’esca dalla neve”, poi la Carità con i seni scoperti offerti a bambini e altre, ora conservate in palazzo Farnese. Nella tomba di Paolo III effettivamente costruita e sistemata nel ‘600 nell’abside di San Pietro, la sola Prudenza esibisce i seni scoperti, vero è che ha il viso di vecchia. Gian Lorenzo Bernini aveva inventato, sempre in San Pietro, le tombe di papa Urbano VIII e di papa Alessandro VII con le statue della Carità e della Giustizia nell’una, e della Carità e della Verità nell’altra, in forma di donne con i seni nudi. E’ vero che papa Innocenzo XI nel 1678 fece coprire i seni delle statue berniniane in San Pietro, ma fino ad allora quei seni non avevano creato problemi di etica. Bernini avrebbe potuto dire: “Omnia munda mundis” – Tutto è puro per i puri -.

UN SOLO SENO FEMMINILE NUDO FACEVA LASCIVIA E IMPUDICIZIA

Nei secoli ‘500 e ‘600 un petto femminile tutto scoperto anche nei luoghi sacri non era scandaloso, né tanto meno proibito. Per non parlare del ‘400. L’esibizione del corpo femminile a due tette nude non rientrava nei reati sessuali, non faceva parte, per usare i nostri termini, della pornografia condannata. Era visto, in un certo senso, come lo vedeva e lo vede tuttora, presumo, un bambino lattante non ancora svezzato che venga allattato al seno, come il seno di una mucca. Fa pappa, allegria, nutrimento.

Invece una donna che mostrava un solo seno nudo e copriva l’altro era considerata provocare una certa malizia erotica, una “lascivia”. Non era propriamente proibito, ma considerato l’anticamera del peccato e del crimine. L’ho trovato nella Felsina pittrice – 1678 – del canonico bolognese Cesare Malvasia: nel commento di alcune figurine femminili in atto di alzare le braccia, sullo sfondo di un San Giorgio di Ludovico Carracci, scrive “che con moto ineguale scompagnando l’una dall’altra mammella, fan che, come a caso esca ella nuda e trabalzi fuori di quel cinto, che l’altra vela sì ma non cuopre; così Armida nel Tasso:

Guido Cagnacci, Lucrezia, Pinacoteca Nazionale di Bologna.

Mostra il bel petto le sue nevi ignude,
Ove il foco d’amor si nutre e desta,
Parte appar de le mamme acerbe e crude,
Parte altrui ne ricope etc.

essendo proprio delle impudiche, per non render esose colla troppa libertà che sazia, frammettere con la licenza atti di onestà; come Poppea, che con lascivia tanto più desiderosa quanto mascherata di modestia, lasciandosi vagheggiar qualche volta il viso mezzo ascoso tenea.”

Da Giulio Romano, Un Modo.

IL NUDO EROTICO CRIMINALE “TURPE” NEL ‘500 E ‘600

Era severamente proibito rappresentare il coito e i diversi modi dell’accoppiamento, oggetto di fatiche letterarie “turpi” di Pietro Aretino. Su questa materia scoppiarono nel secolo XVI due scandali gravi collegati tra di loro. Due diffuse edizioni di letteratura e immagini erotiche. Giulio Romano aveva commentato con disegni erotici i sonetti lussuriosi dell’Aretino, incisi dal bolognese Marcantonio Raimondi, stampati e diffusi nel mercato nero dei libri e stampe. Era stato un grande successo editoriale del 1524 che aveva irritato papa Clemente VII e gli aveva messo voglia di punire i colpevoli. Intervennero mediatori persuasivi e nessuno fu punito.
Il bolognese Agostino Carracci, cedendo al suo lato avaro ed erotico e avendo sperato nella ripetizione del successo di Giulio Romano, negli anni ’90 del ‘500, aveva cominciato a incidere e a pubblicare a Venezia le sue incisioni “turpi” che si ispiravano a quelle di Giulio Romano e le sorpassavano in inventiva estetica ed erotica. Questa volta ad accendersi di collera fu papa Clemente VIII, Ippolito Aldobrandini, uomo severo e piuttosto deciso. Ma di nuovo si misero in mezzo personaggi influenti e Agostino riuscì a cavarsela non senza avere temuto il peggio. Le sue stampe erotiche girano ancora sul mercato.

LE IMMAGINI LASCIVE E ANCHE “TURPI” POTEVANO ESSERE ESPOSTE NELLA CAMERA DEGLI SPOSI?

Il medico Giulio Mancini (1559-1630), famoso presso gli storici dell’arte come estimatore e collezionista di dipinti del Caravaggio, scrive in un’opera intitolata Alcune considerazioni appartenenti alla Pittura come Diletto di un Gentilhuomo. Si dilunga su come e dove vanno esposte le pitture in una casa patrizia. Appare ovvio che i patrizi si considerano nella loro casa al di sopra della legge e quindi che possiedono disegni e pitture lascive e anche turpi, ma in luoghi segreti e le pitture coperte da tende:

“… si deve havere gran riguardo nel lasciare vedere le pitture et in collocarle ai lor luoghi, in casa di un gentilhuomo privato di distintione d’appartamenti [i due soliti appartamenti uniti di marito e moglie nobili] e di varietà di famiglia, si osserverà questo modo: che dei disegni a mano ne farà libri distinti … che così sarà padrone di mostrarli e farli godere con gusto dei riguardanti e facilità di chi li mostrerà, quali libri si serveranno in luoghi più ritratti e da poter essere visti con commodo. [certamente pensa anche ai fogli lascivi e turpi, da mostrare a prsone di cui ci si fida].
Doppo si considerreranno le pitture, che per i paesaggi cosmografie si metteranno nelle gallerie e dove può andare ognuno; le lascive, come Veneri, Marte tempi d’anno e donne ignude, nelle gallerie di giardini e camere terrene ritirate; le deità nelle camere più terrene, ma più communi, e le cose lascive affatto [leggi “turpi”] si metteranno nei luoghi ritirati, e, fusse padre di famiglia, le terrà coperte, e solo alle volte scoprirle quando vi anderà con la consorte o persona confidente e non scrupolosa.”

Agostino Caracci, Un Modo.

Adesso viene il pezzo forte, Giulio Mancini è un medico, e sarà poco dopo la pubblicazione del libro nominato archiatra pontificio da papa Urbano VIII, giustifica con argomenti di igiene sanitaria e di psicologia aristotelica la contemplazione di pitture lascive e anche, immaginiamo, ma lui non lo dice, turpi:

“E simil pitture lascive in simil luoghi dove si trattenga [i gentiluomo] con sua consorte sono a proposito, perché simil veduta giova assai all’eccitamento et al far figli belli, sani e gagliardi, come par che accenni il Sanus nel libro De Matrimonio.”

Il “Sanus” è certamente il gesuita castigliano Thomas Sanchez che nel capitolo “de pingendibus turpia” del suo Disputationes de sancto matrimonio sacramento, non è affatto favorevole all’uso di immagini lascive per suscitare l’erotismo coniugale. Però in seguito ad un discorso strano su due maschi che si guardino nudi, a meno che non si tratti di vescovi, scrive:

“Dai pareri considerati si deduce per prima cosa che non è peccato mortale guardare le ginocchia, le braccia o il petto nudo delle donne, sempre che non vi sia altro pericolo. Perché in questi sguardi non è tanta disonestà, né inoltre tale sguardo provoca il male.”

Il male, secondo una tendenza teologica ed etica gesuitica, è nelle intenzioni: si pecca quando si guarda con l’intenzione maliziosa. E’ interessante poi seguire le considerazioni del Mancini sulla “vis imaginativa” che produce degli effetti prima e durante la gestazione. Lo stesso cardinale arcivescovo di Bologna Gabriele Paleotti, che avrebbe voluto abolire le immagini degli dei pagani nudi, e aveva dovuto sopportare l’inaugurazione del Gigante nudo a Bologna a pochi passi dalla sua cattedrale, non voleva nelle chiese quadri brutti perché diceva che avrebbero prodotto nelle donne gravide che li guardavano la generazione di figli brutti. Torneremo sulla “vis imaginativa”.

Immagine d’apertura: Guido Cagnacci, La morte di Cleopatra (particolare), Vienna, Kunsthistorisches Museum.

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