Memorie di tsunami adriatici

Memorie di tsunami adriatici

Quello che si è verificato sabato sulla spiaggia marchigiana è stato definito “onda anomala” o "mini tsunami" o "maremoto". Che nell'Adriatico si verifichino dei veri e propri tsunami lo sappiamo dalle notizie che ci hanno trasmesso i nostri cronisti. I fatti, a partire dal 1664, e l'importanza di un centro studi dedicato con un "Museo dell'Adriatico”.

LO TSUNAMI SULLA SPIAGGIA MARCHIGIANA 22 LUGLIO 2023

Sabato 22 luglio 2023, nel tardo pomeriggio, “un’onda anomala” o “mini tsunami” o “maremoto” ha sommerso di poco tutta la spiaggia da Pesaro a Falconara. Così le notizie online.
Che nell’Adriatico si verifichino dei veri e propri tsunami lo sappiamo dalle notizie che ci hanno trasmesso i nostri cronisti. Me ne sono occupato in un numero di “Ariminum” a.XVI n.3 V-VI 2019, poi ne ho trovato uno del 1664.
Giova ripetere che l’Adriatico ha la fama classica di essere un mare pericoloso. Si sente il bisogno di un centro studi del mare con un “Museo dell’Adriatico”.
Solo nel caso del terremoto del 17 marzo 1875 la causa dello tsunami è comprensibile, negli altri casi venne dai contemporanei indicata nei venti ma rimane da capire.
Si sente la mancanza di un luogo dove siano esposti i documenti scientifici, visivi e storici, che visualizzi i risultati delle ricerche di diversi esperti del mare Adriatico, geologi, storici, archeologhi.
I musei delle barche di Cesenatico e della marineria di Pesaro sono bellissimi, ma il museo del mare Adriatico dovrebbe essere un’altra cosa.
Qui di seguito le testimoninaze storiche degli tsunami dell’Adriatico.

Una parte del manoscritto gambalunghiano di G. Villani dove è descritto in latino lo tsunami del 1664.

LO TSUNAMI DEL 4 MAGGIO 1664

Iacobus Villanius, Giacomo Villani, De vetusta Arimini urbe et eius episcopis, Biblioteca A. Gambalunga di Rimini, SC.MS 177 c. 50; segue la traduzione dal latino:

“Nell’anno 1664, il 4 maggio al primo chiarore del giorno, una nube di fuoco fu vista a settentrione, che con improvviso turbine di mare, elevò le onde dal solito livello ad una massima altezza, di qui poi con venti furiosi sorse una tempesta tanto rabbiosa che nemmeno i più esperti naviganti poterono farle fronte, anzi per duro destino seguirono numerosi naufragi, perché l’improvviso pericolo aveva impedito di raccogliere le vele; le barche con i naviganti furono sommerse. Si salvarono alcune barche meglio attrezzate ma senza i carichi; alcune senza alberi navigarono vuote a caso come voleva la Fortuna. Sulla spiaggia si trovarono sparsi circa cento cadaveri, e in seguito altri duecento che il mare aveva inghiottito. Giustamente Orazio scrisse che nel mare Adriatico sorgevano le tempeste più veloci che altrove […]
In questo disastro è lecito riportare un caso o di fortuna o di miracolo di un certo pescatore di Chioggia. Che presso Rimini strappato da un’onda dalla sua barchetta era caduto in acqua, subito dal flutto seguente fu rimesso nella stessa barchetta, o per il furioso vento oppure per un Nume che lo proteggeva.”

LO TSUNAMI DEL 7 AGOSTO 1763

Ernesto Capobelli, Commentari delle cose accadute nella città di Rimino (1739-1776), Biblioteca A. Gambalunga di Rimini, SC-MS 306, pp.22 e ss., 36 e ss.

Il 7 agosto 1763 era il giorno della festa di S. Antonio in città e sul porto. Festa grande; la corsa dei cavalli berberi, la distribuzione di 4 doti a fanciulle povere, e la notte uno spettacolo di fuochi artificiali sul molo del porto.

“Poco dopo le ore 22 del dì suddetto [non mi è facile calcolare quest’ora in un momento in cui il calcolo era ancora incerto tra l’ora italica e quella francese, mi pare si possa dire: nel tardo pomeriggio] si sollevò un furioso turbine nato dal contrasto di un gagliardo Libeccio co’ venti di Greco Levante, per cui gonfiando il Mare e spingendo con impeto le acque entro il canale del Porto, furono poste in grave disordine tutte le Barche, che ivi si trovavano, alcune delle quali furono miseramente fracassate e più di trenta delle medesime, rotti i canapi, furono spinte con sommo impeto per lungo tratto addietro sin presso il Ponte di Augusto.”

Anche il dottor Giovanni Bianchi – alias Jano Planco – che osservava il fenomeno dalla cima della porta Galliana, dove aveva il suo piccolo orto botanico, descrisse il fenomeno senza rendersi pienamente conto dello tsunami. Il Capobelli invece ebbe un quadro più ampio del fenomeno:

“Le acque parimenti dell’altro nostro fiume Aprusa (Ausa) che bagna la Città dalla parte di Levante, ricevettero dal Mare la stessa escrescenza tanto che arrivarono a toccare il ciglio delli due Archi che sostentano il Ponte [è il ponte romano sull’Ausa davanti all’Arco d’Augusto ‘scomparso’ negli anni ’70 del secolo passato] sorventassero – soprapassassero – le sue sponde, non recarono se non che poco danno agli orti di erbaggi ivi contigui.”

Il Capitano del porto Giambattista Zollio, continua il cronista, obbligò tutti i marinai e circa 200 contadini a recuperare i battelli finiti sulla terra, non calando la catena che chiudeva il porto per costringere i paroni e gli equipaggi delle barche ‘fortunate’ che non avevano avuto danni a rimanere nel porto. Il castello di legno per i fuochi sul porto, costruito con grosse travi, una “macchina di due ordini”, venne distrutto dallo tsunami.

LO TSUNAMI DEL 20 NOVEMBRE 1763

Lo stesso anno 1763, il 20 novembre, il fenomeno dello tsunami si ripetè alle ore 16, 4 ore dopo il mezzogiorno, probabilmente:

“Poco prima delle ore 16 del 20 9bre si alzò d’improvviso un gagliardo e impetuoso vento, accompagnato di graniola – grandine – minuta che soffiando tra Greco e Tramontana alzò le acque del nostro Mare a sì smisurata altezza che oltrepassando il loro termine, allagarono per il corso di un miglio abbondante le vicine Campagne non tanto di questa Città, come quelle di altri circonvicini paesi. L’alzamento delle acque del mare, accaduto con questo turbine, fu assai maggiore dell’altro occorso nel passato agosto già descritto. Non recò disordine e pregiudizio alle Barche, per essere state a tempo assicurate, ma bensì un danno considerevole alla campagna e specialmente agli Orti di ortaggi tanto fuori porta San Bartolo, quanto fuori di porta della Marina lungo la Spiaggia del Mare, i quali dalla salsedine di detta acqua restarono nella maggior parte inariditi ed abbruciati con grave pregiudizio de padroni, e dei poveri Ortolani.”

Questa volta c’erano persone che passeggiavano lungo la spiaggia che videro lo tsunami arrivare:

“Alcune persone poi che si trovavano vicino alla spiaggia del Mare in tempo di un sì spaventoso turbine, ebbero gran fatica a salvarsi non ostante che intraprendessero una velocissima fuga. Fu però grazia speciale dell’assistenza divina che nessuno restasse soffocato dalle acque, come fra quelle doveva qualcuno necessariamente perire, essendosi ripieni tutti li fossi al pari della terra, e pure la fuga di questi fu per loro del tutto propizia perché a tempo intrapresa.”

LO TSUNAMI DEL TERREMOTO DEL 17 MARZO 1875

Dobbiamo la descrizione di questo tsunami che si verificò durante un terremoto al padre scolopio Alessandro Serpieri, scienziato e studioso dei terremoti, che raccolse testimonianze del terremoto del 17 marzo 1875 e le pubblicò nel volume Scritti di Sismologia, Firenze 1889:

“Alle 23,51 del 17 marzo 1875 uno sisma violentissimo interessò le zone di Cesenatico, Rimini, Cervia. L’epicentro fu localizzato proprio davanti alla costa riminese. Al porto di Rimini le testimonianze narrano di una bassa marea improvvisa, seguita due minuti dopo da un’alta marea. A Cervia, Cesenatico, Pesaro, Ancona le spiagge vennero allagate “da alcune grandi onde” che danneggiarono anche alcune imbarcazioni….”

LA STORIA COME PREVISIONE E RIMEDIO

Questi scritti aiutano le nostre povere memorie bucherellate ad aspettarci anche il peggio…in fatto di terremoti e tsunami. E ad avere rispetto e curiosità per il nostro Mare Adriatico.
Il ritirarsi improvviso dell’acqua marina lascia un paio di minuti prima dell’arrivo del muro d’acqua, sono sufficienti per salvarsi nelle spiagge di Bellaria, Igea marina, Torre Pedrera, Viserba, Rimini, Miramare, Riccione?
Straventi e “turbini” se non sono la causa degli tsunami, li accompagnano e li segnalano e forse segnalano anche i terremoti?
Nell’articolo di “Ariminum”, stimolato dall’epicentro del terremoto-tsunami del 1875 al largo di Rimini, avevo scritto di ricordare male di una notizia dei vecchi marinari di Rimini sull’esistenza di un vulcano al largo di Rimini. Una fantasia? Più sì che no, penso, tuttavia rimane uno stimolo per ricerche e pubblicazioni di ricerche di cui si sente la mancanza.

Fotografia d’apertura: l’onda anomala sul litorale marchigiano il 22 luglio, “acqua alta” tra lettini e ombrelloni.

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