Polo universitario di Rimini: dove siamo arrivati e dove vogliamo puntare

Polo universitario di Rimini: dove siamo arrivati e dove vogliamo puntare

Con un ordine del giorno tematico, si accende questa sera nell'aula del consiglio comunale la discussione sul Campus che ha cominciato a prendere forma circa trent'anni fa. Il prof. Giuseppe Cappiello, docente dell'Alma Mater, offre un interessante contributo al confronto. Analizza la strada percorsa, fatta di luci ma anche di ombre, invita ad allargare gli orizzonti e conclude lanciando cinque suggerimenti concreti.

Gentile Direttore,
questa sera in Consiglio Comunale si discuterà delle prospettive di sviluppo del Polo universitario di Rimini.
E’ una scelta molto apprezzabile soprattutto in considerazione del fatto che il tema viene affrontato all’inizio del mandato e quindi con la possibilità di darsi degli obiettivi effettivamente raggiungibili.

Negli ultimi trent’anni, grazie ai contributi di istituzioni e personalità significative della città, anche provenienti da culture diverse, abbiamo assistito a significativi passi avanti e quello che era poco più di un ufficio in Piazza Tripoli è diventato un vero e proprio Campus in pieno centro storico, frequentato da tanti studenti provenienti da ogni parte del mondo. Ne hanno beneficiato le imprese che offrono servizi o che possono contare su giovani preparati, i proprietari di immobili che hanno visto valorizzare le proprietà e la cultura in genere della città.

Gli studiosi sono concordi nel documentare che le medie città in cui è presente una istituzione di grado superiore o centri di ricerca sono più innovative di altre.

Mentre siamo orgogliosi di tutto questo e rendiamo il giusto merito a chi ha spinto in questa direzione, per poter immaginare il futuro più lucidamente non possiamo nascondere che altri hanno fatto meglio e da loro dobbiamo imparare qualcosa.

In dieci anni Rimini (a differenza di Forli, Cesena e Ravenna) ha perso il 20% degli studenti passando da 6486 del 2011 a 5087 dal 2021. Per lungo tempo Rimini è stata solo una sede di passaggio per docenti che tornavano a Bologna prima possibile, non c’è una chiara identità del Campus, le sorti dell’unico Dipartimento presente a Rimini sono state piuttosto travagliate e il tessuto imprenditoriale locale raramente riesce ad intercettare le competenze disponibili nell’Ateneo.

Manca il software direbbe qualcuno. No, c’è anche qualche problema di hardware: le strutture universitarie sono nate vecchie, senza spazi per riunirsi e chiudono alle 19,30 come i banchi del mercato coperto mentre in tutto il mondo si entra ed esce dall’università ad ogni ora del giorno e della notte, sette giorni a settimana. Perché così funziona questo mestiere.

Non mi confronto con New York o Shanghai ma con Forlì dove hanno realizzato un Campus innovativo o con i nuovi poli universitari di Milano. Tutto lungo la via Emilia insomma.

Però il momento è propizio, per tante ragioni, e non va sprecato guardando indietro.

Il prof. Giuseppe Cappiello.

Nel 2020 quando tutti eravamo chiusi in casa, leggendo i messaggi che gli albergatori inviavano sulle chat, abbiamo lanciato una indagine che ha dato risultati molto interessanti e sono stati pubblicati su una importante rivista internazionale. Nessuno sapeva come affrontare un problema nuovo, il diffondersi del virus, ed il contagio avveniva soprattutto dal contatto personale; un disastro per un settore come quello dell’ospitalità che vive di contatti personali. Ebbene, chi ha cercato possibili soluzioni solo nella propria rete di relazioni abituali ha performato molto peggio di chi aveva una rete più estesa, anche in settori diversi. Qualche settimana fa, dalle pagine del Suo giornale un albergatore (così si firmava) lamentava l’assenza di un luogo in cui discutere; l’università potrebbe essere questo ambito in cui si cercano soluzioni “out of the box”. Le competenze ci sono e altre potrebbero essere interessate a venire perché a Rimini si vive bene.

Negli anni novanta Philips, gigante delle TV, delle lampadine e tanto altro, stava rischiando grosso a causa di un salto tecnologico in corso ed il passaggio rapido al digitale. L’industria è basata ad Eindhoven, città da 220 mila abitanti molti dei quali impiegati proprio alla Philips. L’evenienza della perdita di competitività e di posti di lavoro ha indotto Regione, Comune e imprese a costituire una fondazione che è diventata il motore del rilancio ed oggi Eindhoven è una destinazione ambita per gli innovatori, studenti o imprenditori. Una Silicon Valley europea.

Per non rimanere teorici, tento di dare un piccolo contributo alla discussione con alcune suggestioni per quel che riguarda ciò che può fare il Comune.

1) Urbanistica: la concentrazione geografica favorisce le relazioni e lo scambio di conoscenza. Il Corso d’Augusto rischia lo spopolamento nella parte tra piazza Cavour e il ponte di Tiberio se anche l’Università si sposta dopo che lo ha già fatto la Questura e forse lo farà il Comune con la nuova sede alla Stazione. Un accordo tra Comune e Università può favorire l’utilizzo di alcuni immobili che difficilmente avrebbero altre destinazioni. Sicuramente ci sono altre possibilità ma la progettazione complessiva deve essere ambiziosa e lungimirante e tener conto di quello che dovrebbe succedere all’interno di quegli edifici, non solo riempire spazi vuoti come talvolta si è fatto.

2) La zona dello Stadio e del Palazzo dello sport sono l’ambiente ideale per chi studia e fa ricerca nello sport. Con un impegno minimo si potrebbero collocare lì laboratori e aule invece di far girovagare gli studenti tra gli impianti da Viserba a Riccione.

3) Il Piano Strategico di Rimini è stato recentemente rilanciato. Forse potrebbe essere quello il luogo giusto per immaginare lo sviluppo integrato perché si è visto in questi anni che la programmazione top-down (sposto dei docenti da Bologna a Rimini) non funziona. L’unica possibilità è fare crescere il meglio di quello che già è presente sul territorio.

4) Uni.rimini: la Società oggi ha compiti generali per non dire generici. Occorre chiarire qual è il ruolo di quella struttura che non è più quello di raccolta fondi come trent’anni fa. Potrebbe ad esempio muoversi come broker dell’innovazione, sull’esempio citato di Eindhoven, perché Rimini non è solo città turistica ma ha un tessuto imprenditoriale vivace con alcuni player di standing mondiale.

5) Ultimo suggerimento, un po’ ludico un po’ no. Facciamo tre volte l’anno la proclamazione dei laureati al Teatro Galli, magari con la prolusione di un docente. La città si accorgerebbe di più di quello che significa l’Università a Rimini.

Prof. Giuseppe Cappiello

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