Sergio Pizzolante: dalla sindrome di Montecristo alla folgorazione per Renzi (e Gnassi)

Sergio Pizzolante: dalla sindrome di Montecristo alla folgorazione per Renzi (e Gnassi)

Alla presentazione del libro di Nando Piccari è andata in scena la confessione dell'onorevole. Ovvero la sconfessione della sua esperienza politica s

Alla presentazione del libro di Nando Piccari è andata in scena la confessione dell’onorevole. Ovvero la sconfessione della sua esperienza politica sotto le bandiere di Fi-Pdl. Pizzolante oggi si riconosce totalmente nella politica e nella leadership di Matteo Renzi. E per accreditare la mutazione rispolvera un Dna salentino quasi comunista. Efficace anche l’arringa ironica di Pasquinelli, che ha fatto ridere parlando della Fondazione e del komunista a Palazzo Buonadrata che preoccupa una banca d’affari inglese che rappresenta fondi stranieri americani. Se non fosse che quando si nominano Fondazione e Carim da un po’ di tempo si pensa alla tragedia, più che alla satira.

Sei di destra e ti tirano le pietre. Cerchi di essere (o avere? Mah! Sarà il caso di riprendere in mano Erich Fromm) di sinistra e ti tirano le pietre. Non c’è pace per Sergio Pizzolante, che ieri alla presentazione del libro di Nando Piccari (nella foto tratta dalla pagina facebook di Panozzo Editore) è andato ben oltre il dilemma sollevato dal nostro Satyriminicon. Per spiegare la conversione sulla via di Matteo (Renzi) ha riletto tutta la sua storia politica, dalle origini salentine ai giorni nostri. E sono state rivelazioni da far tremare i polsi.
Breve contestualizzazione. Graffia graffia, qualcosa rimane? è stato presentato da Massimo Pasquinelli (che ha fatto un figurone con la sua arringa in pieno stile satirico, salutata da un lungo applauso, dimostrando di riuscire nel genere anche meglio di quando indossa gli abiti di timoniere a Palazzo Buonadrata), Lia Celi (per lei l’impronta di Piccari è più quella del gatto intento a “fare il pane” con le zampette che infilano appena appena l’unghietta nella carne, che non il graffio felino), Andrea Gnassi (che ha sottolineato “la commedia umana riminese” descritta nella raccolta, “fatta di intensità di rapporti, relazioni fra persone che mantengono un rispetto e una dignità che oggi si fa fatica a rintracciare”) e poi lui, Sergio Pizzolante.
Che dovesse confessare qualcosa di importante lo si era capito subito: volto un po’ tirato, alcuni bicchieri d’acqua bevuti prima di iniziare a parlare per “oliare” una lingua inceppata dall’emozione, sguardi circospetti sui presenti in sala (piena, solo posti in piedi), come tradendo la preoccupazione di avere addosso molti occhi puntati.

Satyriminicon, si diceva. Che i convitati direttamente chiamati in causa avevano letto. La dimostrazione si è avuta alle prime battute di introduzione dalla viva voce di Nando Piccari:  “Qualcuno maliziosamente pensa che io abbia invitato Pizzolante in ragione della sua presa di posizione politica… non è assolutamente vero, possiamo giurare. Siccome è uno dei bersagli preferiti del libro, l’ho chiamato e gli ho detto: se sei sportivo dovresti venire alla presentazione, ed ha accettato”. Si chiama excusatio non petita, accusatio manifesta. La presa di posizione politica è ovviamente quella nota: l’endorsement dell’ex berlusconiano per Matteo Renzi e, scendendo di scala, per Andrea Gnassi. Si è sentito in dovere di giustificarsi anche Pizzolante: “L’invito che ho ricevuto da Nando è datato un mese fa e non ha nulla a che fare con le vicende degli ultimi giorni”. Ultimi giorni? Il suo nuovo atto di fede Pizzolante l’ha veicolato sulla stampa riminese ai primi di settembre, quindi oltre tre mesi fa, quando smentì alleanze con Gnassi ma aggiunse subito dopo di non escludere niente per Rimini. Ma è inutile fermarsi sui preliminari. Il godimento è venuto in seguito.

Leggere il libro ha avuto per Pizzolante “un valore rigenerante”, come la cura a base di pappa reale avvicinandosi all’inverno. Perché ha potuto rivedere il film (thriller, horror… sul genere fate un po voi) della sua vicenda politica: “Rivedi lo spessore di un pensiero, un prima e un dopo, il percorso di una storia”. Ha potuto ripercorrere tutta la sua traiettoria politica. “E’ stata una lettura molto, molto, molto interessante per me”. Tre volte ripetuto.
Ha poi raccontato il suo primo incontro con Nando, quando, arrivato a Rimini da Lecce, nel 1980, fece – questa è una perla ai più ignota – il segretario provinciale della Federazione lavoratori metalmeccanici. Nella storica sede del Pci in piazzale Clementini, Nando (ai tempi segretario della Federazione), degna il pugliese solo di uno sguardo fulminante. Non andrà meglio in occasione della stagione segnata dalla crisi del pentapartito riminese, quando i due si incrociarono ancora: “Due socialisti abbandonarono la maggioranza, fu la catastrofe… fui convocato dai segretari regionali del Pds e del Psi perché si voleva superare quella crisi facendo una giunta di sinistra. Io mi opposi a questa operazione di ribaltone fra pentapartito e giunta di sinistra, al tavolo regionale c’era Giuseppe Chicchi che da una parte voleva fare la giunta di sinistra e dall’altra aveva già in tasca l’accordo con la Dc di Ermanno Vichi…” Mormorii in sala. Gli stessi mormorii che oggi si alzano dal centrodestra per quello che viene considerato il suo salto del fosso: c’è chi pensa che Sergio da Lecce abbia già in tasca un accordo col Pd per le prossime elezioni politiche, e che stia cercando di costruirne uno (che potrebbe prendere la strada di una lista civica) per le comunali del prossimo anno a Rimini.
Partiti male, i rapporti di Pizzolante con Piccari sono andati sempre peggio. Annotazione sconsolata del primo: “Per capire il livello di simpatia che Piccari nutre nei miei confronti bisogna leggere il libro a pag. 143”. E’ la narrazione del ritorno in vita, dopo il famoso infarto. Ebbene, il komunista dopo averla scampata sente di voler abbracciare tutti, amici e nemici: “talmente buono che se mi trovassi davanti, non dico Bossi o Grillo, perché sarebbe troppo, ma Gioenzo Renzi e Sergio Pizzolante, sono sicuro che li abbraccerei”.

Gli scoop non sono finiti. “Prima di venire a Rimini ero un giovane socialista salentino, che a metà degli anni 70 ha avuto delle simpatie per il Pci. Mi stavo per iscrivere alla Fgci, perché Lecce non era l’Emilia Romagna e i comunisti di Lecce non erano i comunisti dell’Emilia romagna. Tutto cambiò quando uscì il libro di Bettino Pluralismo o leninismo“. E Pizzolante diventò craxiano. Come si vede i libri sono sempre stati molto utili a fargli cambiare idea. Sottolineatura ruffiana di un antico feeling col Pci per avallare il nuovo?
Di certo il bello doveva ancora arrivare. Con la sconfessione del proprio passato sotto le bandiere di Fi e Pdl: “Nel momento in cui torno da parlamentare a fare politica a Rimini ricomincia da parte di Nando un trattamento particolare e io divento l’onorevole Smazzolante o l’onorevole con lo sfollagente”. Attenzione: “Definizioni che coglievano in quel momento la verità del mio atteggiamento”. Ecco il seguito: “Io tornai a fare politica a Rimini, lo confesso, un po’ con la sindrome di Montecristo”. Ovvero? “Tangentopoli ha avuto su di me un effetto pesantissimo lasciandomi un forte risentimento nei confronti di alcuni ambienti politici e mi sono lasciato prendere dalla sindrome di Montecristo. Nello stesso tempo, siccome si diceva che Forza Italia era inciuciosa e consociativa, io ho avuto quell’atteggiamento così pesante e così duro che Piccari ha colto e descritto molto bene”. Praticamente l’onorevole confessa allegramente di avere svolto politica a Rimini in preda ad una sindrome e per recitare una parte. Saranno contenti gli elettori che l’hanno mandato in parlamento.
Spiattellato tutto ciò, pure lui ha dovuto ammettere di trovarsi in una situazione “un po’ paradossale”: “Oggi io mi riconosco totalmente nella politica e nella leadership di Matteo Renzi, che ha prodotto una svolta alla sinistra italiana e alla sua cultura, ed ha un profilo politico che è più vicino alla mia storia che a quella di Piccari. E se io oggi ho un leader ma non ho un partito, vorrei capire se Piccari ha un partito ma non ha più un leader. Potrebbe essere una storia da raccontare con l’ironia e l’intelligenza di Piccari”.

La chiusura la merita Massimo Pasquinelli, che ha messo in scena la legge del contrappasso per il compagno Nando, tratteggiandone ironicamente l’evoluzione dall’epoca in cui sfoggiava il baffo messicano ai giorni nostri: “Lui e i suoi si sono evoluti fino all’homo democristianus, in maniera iconica rappresentato dal presidente del Consiglio. Voi non ci credete, lo so, ma Piccari è diventato un uomo delle istituzioni, un centrista, un mediatore, un conservatore”.
Frizzi e lazzi anche per il passaggio che ha ricordato quando “Nando in Fondazione faceva parte di un gruppo cosiddetto degli industriali, all’interno del quale c’erano due fratelli che erano i proprietari dell’industria ai cui cancelli Piccari andava a volantinare con gli scioperanti nel 68”. I fratelli Aureli. Ma i tempi sono cambiati. “Ho spiegato agli uomini di Mediobanca, in un momento ilare che quindi lo consentiva, che il sistema bancario italiano aveva avuto una evoluzione perché noi abbiamo un ex segretario di federazione comunista nel cda della Fondazione”. E loro hanno sorriso. “Se non che in un incontro con dei fondi stranieri americani rappresentati da una banca d’affari inglese, chiesero a me personalmente – e sul serio – se nel cda della Fondazione è vero che ci fosse un comunista. Ho spiegato che i comunisti italiani si sono evoluti al punto da entrare nel salotto della finanza”.
Divertente la rappresentazione della trasformazione delineata da Pasquinelli: “Piccari diventa socio della Fondazione e questo è il primo mutamento del suo Dna. La prima volta che si è seduto nella assemblea dei soci della Fondazione attorno a lui si è fatto fisicamente il vuoto. Io sono andato a sedermi vicino è gli ho detto: non è niente, renditi conto di dove sei, ti conosceranno”. E poi: “Dovetti scrivere da avvocato quale ero e sono, perché non vivo mica di Fondazione, per Cardellini una lettera raccomandata all’allora presidente Luciano Chicchi, perché Silvano, considerata la sovietizzazione della Fondazione con l’entrata di Piccari nella assemblea dei soci, voleva il trasferimento dei conti correnti e dei depositi da Carim a banca più sicura”. Ci sarebbe da ridere, ma vien da pensare a quel che è accaduto in Carim dal commissariamento in qua. Confermando che satira e tragedia sono da sempre separate da un filo sottilissimo. (c.m.)

 

copertina-gratta-gratta-piccariNando Piccari, Graffia graffia, qualcosa rimane?
Una scelta dei corsivi di Nando Piccari usciti su “Chiamami Città”, “Il Nuovo Quotidiano” e Quiriviera.com.
Prefazione di Walter Veltroni
Panozzo Editore, € 13

COMMENTI

DISQUS: 0