La breccia a Castel Sismondo non si farà: li abbiamo fermati

La breccia a Castel Sismondo non si farà: li abbiamo fermati

La Soprintendenza, che aveva avallato il progetto definitivo del primo stralcio del museo Fellini senza nulla eccepire sulla apertura della "preesistente bucatura", dopo le proteste ha cambiato idea. E così l'amministrazione comunale fa marcia indietro. Ripercorriamo questa vicenda, che termina senza uno scempio grazie alla pronta denuncia di Rimini 2.0. Ma mettiamo anche in guardia: prima di altre brutte sorprese, l'assessore Piscaglia mostri alla città progetti e allestimenti di tutto il museo Fellini, che impattano sul centro storico ben oltre la creatura di Brunelleschi.

“Cominciano a distruggere Castel Sismondo: fermiamoli!”. Mentre tutti dormivano, Rimini 2.0 suonava la sveglia pubblicando, alle 9.03 del 24 settembre 2019, l’intervento del prof. Giovanni Rimondini. “In una scarpa – si chiama “scarpa” la parte bassa obliqua delle fortificazioni: quelle di Castel Sismondo hanno un andamento piramidale, tanto da giustificare la metafora di Roberto Valturio che il castello era stato costruito per somigliare a una piramide -, del nucleo interno con muri del ‘400 vogliono riaprire una porta che dicono ottocentesca”. Rimondini denunciava quello che era già stato messo nero su bianco nel progetto definitivo del museo Fellini e che comportava una modifica irreversibile “all’unica opera superstite delle architetture ossidionali di Filippo Brunelleschi”. All’insaputa dei riminesi. Tuonava Rimondini: “Lo riempiano pure con le scenografie dei film di Fellini (Castel Sismondo, ndr), ma non si azzardino a modificare i muri del Trecento e del Quattrocento, sorti sulle prima mura romane di Ariminum. Il sindaco e i suoi accoliti temano la Nemesi sigismondea“. Il suo articolo, che si concludeva con “l’appello alla popolazione culturalmente sensibile di Rimini” a ripetere l’esperienza che nel 2000 salvò il teatro Galli, l’abbraccio al Castello, veniva letto da tantissimi, letteralmente allibiti. E moltissimi, riminesi e non, rispondevano “presente!”, “ci siamo!”.

“Cominciano a distruggere Castel Sismondo: fermiamoli!”

Alle 16.03 dello stesso giorno mettevamo online un altro pezzo: “Salviamo Castel Sismondo”: l’appello raccolto dal prof. Mazzola. Sul suo blog scriveva: “Questa mattina ho ricevuto l’accorato appello dei redattori di Rimini 2.0 affinché, anch’io, dessi il mio contributo a questa nuova battaglia, che vede i gioielli della città romagnola preda di personaggi incapaci di comprendere il valore storico culturale di ciò che, in nome della propria visione distorta del mondo, vogliono violentare!”. Aggiungeva: “La notizia è di quelle che fanno rabbrividire: per poter consentire la trasformazione dello storico Castel Sismondo in museo dedicato a Federico Fellini, è stato proposto di aprire una porta in uno dei suoi bastioni!”.

“Salviamo Castel Sismondo”: l’appello raccolto dal prof. Mazzola

26 settembre 2019. Italia Nostra Rimini prendeva posizione contro il progetto “insostenibile” da più punti di vista. Lo faceva con una lettera al Soprintendente Cozzolino (scritta e protocollata il 25 settembre alla Soprintendenza dopo aver letto la notizia pubblicata da Rimini 2.0) e con un comunicato alla stampa definendo “scontato” che “dovrà essere il museo ad adattarsi alla forma e alle esigenze dell’intangibile monumento rinascimentale, e non viceversa il castello al prospettato nuovo museo. Il “Museo Fellini” è stato evocato alla città come multimediale e per nulla impattante sulla struttura, siamo per questo preoccupati nel constatare di contro l’esistenza di progetti o stralci che prevedono l’uso del martello pneumatico”.

Lettera al soprintendente: anche Italia Nostra si mobilita in difesa di Castel Sismondo

Ma di scontato fino a quando sono usciti i nostri articoli e le diverse autorevoli prese di posizione, non c’era nulla. Ripetiamo. La breccia era contenuta nel progetto definitivo del museo Fellini, e la Soprintendenza non aveva avuto nulla da eccepire. Nel parere espresso il 16 luglio scorso e firmato dal Soprintendente Cozzolino e dal responsabile del procedimento, arch. Napoli, gli unici “rilievi” mossi al primo stralcio del museo Fellini dentro Castel Sismondo, riguardavano quattro indicazioni: rimuovere “la pensilina esistente posta all’interno della prima “corte” liberando la visuale e gli scorci prospettici attualmente vanificati per la presenza delle strutture”; gli apparati previsti per gli allestimenti museali all’interno delle sale dovranno essere autoportanti” e “non potranno essere utilizzati i paramenti murari e le volte e tutti gli elementi storico-culturali presenti”; la pedana e la seduta esterna, prevista in progetto, all’interno della “prima corte”, per il superamento delle barriere architettoniche e di attesa, dovranno essere realizzati in materiali precari (metallo, legno, ecc.) e dovranno essere semplicemente poggiati senza eventuali fondazioni, così come l’allestimento previsto sulla facciata della casa del custode”; e infine chiedeva una “successiva e separata approvazione” per “l’impiantistica all’interno del complesso storico”, ma già dando indicazione di “eliminare i “fan-coil” presenti all’interno degli ambienti del castello, che poco si adattano al contesto storico, di rilevante pregio culturale”.
Nulla sulla breccia.

Il 28 settembre il prof. Giulio Zavatta spiegava con un intervento pubblicato da Rimini 2.0 che “la volontà di creare un percorso del museo che preveda un ingresso (dalla porta che si vuole aprire) e un’uscita (dalla porta d’ingresso attuale, snaturando i percorsi “originari” del castello) ha forse portato a interpretare a sostegno del proprio progetto due delle planimetrie meno significative della rocca malatestiana, ignorando pervicacemente tutte le altre, spesso più autorevoli e più antiche, che depongono a sfavore”. Motivava con l’approfondita conoscenza dell’argomento di cui dispone, l’errore in cui è incappato chi ha immaginato di ripristinare “una preesistente bucatura” basandosi su “una pianta a stampa derivata da un disegno del 1760 e un altro foglio settecentesco custodito presso la Gambalunga, di autore anonimo”. L’elaborazione progettuale dell’apertura di una breccia arcuata nel muro a scarpa del palazzo interno a Castel Sismondo “appare fondata su una lettura parziale di due restituzioni – non verificate storicamente né archivisticamente – che potrebbero, ammesso siano corrette, attestare una modifica settecentesca della rocca. Indicare questa fase come “originaria” mi pare del tutto arbitrario e non dimostrabile”.

Castelsismondo: un contributo di metodo del prof. Zavatta smonta la tesi sul ripristino delle “bucature originarie”

Infine il 7 ottobre Rimondini tornava sul tema spiegando cos’è una “falsa porta”, e un articolo della redazione dava conto delle due interrogazioni presentate in consiglio comunale da Davide Frisoni di Patto civico e da Carlo Rufo Spina di Forza Italia. Dai banchi della maggioranza e da quelli della minoranza uno stesso obiettivo: no al progetto dell’apertura della porta.

Castel Sismondo: Rimondini spiega cos’è una “falsa porta”, mentre dal consiglio comunale arriva la richiesta di non aprirla

Se Rimini 2.0 non avesse messo in piazza l’intendimento dell’amministrazione comunale, avallato anche dalla Soprintendenza, probabilmente ci si sarebbe accorti dello stravolgimento del Castello a lavori iniziati. A seguito invece della mobilitazione, la Soprintendenza ha cambiato idea e palazzo Garampi ha fatto marcia indietro. “In seguito alla preziosa segnalazione di Italia Nostra abbiamo fatto alcuni approfondimenti – spiega Vincenzo Napoli, responsabile della Soprintendenza per l’area riminese oggi al Carlino – Se è vero che in realtà una porta esisteva già ed è stata tombinata successivamente, è altrettanto vero che dai documenti non è così chiaro in quale periodo sia stata chiusa”.
Ma che la Soprintendenza approfondisca dopo, e non prima, di esprimere il proprio parere su un progetto definitivo, seppure ancora non ancora esecutivo, lascia esterrefatti. “Credo quindi che sia privo di fondamento storico e di metodo preferire una situazione attestata per la prima volta, allo stato attuale delle conoscenze, trecento anni dopo la fondazione della rocca. E che dunque questo intervento non sia affatto, come dichiarato e cito ancora testuale: “nel pieno rispetto dell’insieme organico costituito da testimonianze materiali, espressione dell’identità civica della comunità riminese, in modo da non pregiudicare le fondamentali esigenze della conservazione del bene”. È evidente che l’intervento servirebbe più al progetto e alle nuove necessità del museo che alla volontà di ripristino filologico del castello. Se la filologia fosse il vero obiettivo, del resto, avremmo oggi un fossato e il ripristino di una controscarpa originale e “originaria” del Quattrocento in luogo di un’arena che non esiste e non è mai esistita in nessuna planimetria, di prima mano o copia, antica o moderna. La filologia e la scientificità del restauro, in conclusione, sono un metodo che prevede di considerare attentamente tutti i documenti disponibili, non una giustificazione da richiamare all’occorrenza e ad intermittenza”. L’aveva chiarito molto bene il prof. Zavatta. Rimini dispone di studiosi preparati e generosi, perché non coinvolgerli a tempo debito, evitando così anche figure barbine?

Scrive oggi Italia Nostra Rimini: “Apprendiamo con enorme soddisfazione la decisione della Soprintendenza che ha portato a cancellare una scelta progettuale che da subito abbiamo giudicato necessitare approfondimenti e nuove valutazioni. E’ la vittoria del dialogo e del confronto e dell’amore che i riminesi hanno dimostrato verso il proprio patrimonio storico e culturale è una vittoria di tanti, dalle istituzioni alle associazioni agli storici che si sono spesi con la loro capacità e intelligenza come Giovanni Rimondini e Giulio Zavatta“.

Tutto bene quel che finisce bene? Certo, ma questa storia insegna che è molto importante che ci sia sempre qualcuno che controlla i controllori. E a nostro modestissimo parere del progetto del museo Fellini c’è ancora parecchio da conoscere e da valutare. Non è mai stato presentato alla città, non è passato nemmeno dalla competente commissione consiliare, non si conosce nulla se non le veline fatte uscire dal Comune. Chi sa, ad esempio, come verrà trasformata piazzetta San Martino (che sarà ripulita di tutti i dehors: è il punto fermo già formalizzato dalla Soprintendenza), dove troverà posto il “rinoceronte sulla barca”? Anche perché si va ad intervenire su un’area ad “alto rischio archeologico” (lo scrive la Soprintendenza nella lettera dello scorso luglio già citata). Prima che si verifichi qualche altra sorpresa, la giunta farebbe bene a scoprire tutte le carte, mostrando una volta per tutte progetti e allestimenti.

Grazie a Giovanni Rimondini, Giulio Zavatta, Ettore Maria Mazzola, Italia Nostra, Davide Frisoni, Carlo Rufo Spina. E a tutti coloro che si sono dimostrati pronti a difendere i veri gioielli di Rimini in quanto beni che ci sono stati consegnati dalla storia e dalla cultura maturate nei secoli, e devono essere tutelati, custoditi e valorizzati. Gioielli che restano, a differenza di chi amministra temporaneamente una città e che non può nemmeno sognarsi di disporne a proprio piacere. Perché patrimonio che appartiene non solo a Rimini e all’Italia ma al mondo intero.

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