Anniversario di don Giancarlo Ugolini: il ricordo inedito di un grande missionario

Anniversario di don Giancarlo Ugolini: il ricordo inedito di un grande missionario

Don Giancarlo Ugolini è stato per lui il primo sconvolgente incontro con l'esperienza di Gioventù Studentesca. Erano gli anni 60 e il sacerdote di Rimini gli fece scoprire l'originale carisma di don Giussani. Parla don Luigi Valentini, che partendo dalle Marche nel 1970 ha fondato una decina di opere in Brasile rivolte a bambini e ragazzi. Pubblichiamo anche il commovente racconto di un giovane riminese che questa estate l'ha trascorsa in un centro per l'infanzia di don Valentini. Il 4 ottobre si celebra in città il settimo anniversario della morte di don Giancarlo Ugolini.

Don Giancarlo Ugolini (foto Silvano Migani)

Don Giancarlo Ugolini (foto Silvano Migani)

“Grazie a don Giancarlo Ugolini ho capito il carisma di don Giussani”. Don Giancarlo Ugolini è stato il padre di Cl a Rimini e chi parla di lui è un altro sacerdote, don Luigi Valentini, nato a Porto San Giorgio 81 anni fa, missionario vulcanico, che tra i favelados del Brasile ha dato vita ad una rete vastissima di asili, scuole, centri professionali, opere che accolgono giorno e notte bambini senza famiglia.
ugolini-4-ottobre-minIl prossimo 4 ottobre la comunità di Cl a Rimini si ritrova per celebrare il settimo anniversario della morte di don Giancarlo Ugolini con una serie di eventi: alle 19.30 nella chiesa di S. Giuseppe al Porto una messa in sua memoria (nella quale saranno ricordati anche altri preti scomparsi: don Salvaore Belletti, don Tonino Fraticello e don Giuseppe Maioli) e alle 21.15 lo spettacolo di Zafra (“con la musica dentro”) al teatro Tarkovskij.
Marco Ferrini, che è anche direttore della Fondazione Giovanni Paolo II per il magistero sociale della chiesa (che qualche anno fa ha raccolto e pubblicato le omelie di don Giancarlo Ugolini in Terra Santa, una sorta di testamento spirituale perché quel viaggio arrivò nell’ultimo periodo della sua vita), dalla scomparsa di questo sacerdote che è stato guida per più generazioni di cattolici a Rimini ma non solo, non si stanca di mettere insieme testimonianze e racconti diretti per illuminare l’esperienza terrena di don Ugolini. E così grazie a Marco Ferrini lo scorso luglio è stato possibile incontrare a Fermo don Luigi Valentini, che nei mesi in cui non vive in missione risiede nella Casa del clero, che è anche sede della congregazione delle ancelle e dei figli dell’Amore Misericordioso fondata da Madre Speranza di Gesù (1893-1983).

Don Luigi Valentini

Don Luigi Valentini

Per spiegare quanto sia stato importante per lui l’incontro con don Giancarlo, don Luigi parte da lontano: “Sono diventato prete nel 1960, ero convinto di avere tutta la verità e di sapere tutto, la scuola di filosofia e teologia mi avevano dato da questo punto di vista una sicurezza. Ero anche convinto che, forte di questo armamentario, tutti si dovessero arrendere di fronte a me”. Gli inizi da parroco don Luigi Valentini li trascorre in una parrocchia a Porto Sant’Elpidio. In questa zona delle Marche erano gli anni del boom della calzatura, che ha portato benessere e ricchezza. Don Luigi ci metteva tutta l’energia che aveva in corpo per svolgere al meglio la sua missione: “Ho lavorato tanto, messo in piedi iniziative di vario genere, creato un gruppo di una sessantina di chierichetti, ma… dopo due anni ero sulla via dello scoraggiamento perché a tanto impegno non corrispondevano i frutti sperati, quello che dicevo non faceva presa”. Da Porto Sant’Elpidio a Fermo, dove il vescovo lo chiama dopo aver notato il suo attivismo coi giovani, e gli affida l’incarico di dirigere la “Casa dello studente”. All’epoca Fermo era molto conosciuta per un famoso istituto industriuale, il secondo in Italia dopo quello di Torino, che aveva circa seimila studenti e creava anche un fiorente indotto economico.
“Ci avviciniamo all’epoca della contestazione, il 68, ed io in quegli anni organizzavo conferenze, dibattiti, la scuola di teologia, il carnevale di Fermo, cresciuto enormemente anche perché ero riuscito a coinvolgere, creando una agguerrita concorrenza, tutti gli istituti scolastici della città. Ma ad un certo momento una domanda mi sorse prepotente nel cuore, una domanda che mi affliggeva: per fare tutto quello che sto facendo era necessario diventare prete?”. In fondo don Luigi non poteva dirsi totalmente scontento perché, come spiega lui, “orientavo i ragazzi”, ma anche questo non lo entusiasmava: “Lo facevo un po’ moralisticamente, tanti partecipavano alle iniziative ma pochissimi mi chiedevano di confessarsi”.
Ma in quel preciso istante del tempo e dello spazio, “dentro questa situazione un po’ angosciante, ad un certo momento arriva un prete, che nel frattempo è tornato al Padre, impegnato coi giovani operai, e mi dice una cosa che cambierà la mia vita”.

Don Giancarlo Ugolini con don Giussani

Don Giancarlo Ugolini con don Giussani

E’ qui che s’inseriscono la Romagna e don Giancarlo Ugolini. “A Rimini – raccontò quel prete a don Luigi – io ho incontrato un gruppo di studenti, gente seria…, tu pensa che al mattino si ritrovano sotto l’ombrellone per recitare la preghiera dell’Ora media”. Don Luigi strabuzzò gli occhi e il cuore cominciò a battere più forte. Una lunga attesa sembrò spalancare una risposta concreta, vicina, coinvolgente. “A quel tempo era una cosa inaudita che dei ragazzi fossero così. Mi disse che il gruppo si era formato grazie a degli studenti venuti da Milano per trascorrere le vacanze a Rimini. Ricordo come fosse oggi che fui colpito da questo particolare: ‘si riuniscono alle 10.30 sotto l’ombrellone per pregare’. Era la cosa che io avevo sognato da sempre, che i giovani potessaro pregare insieme a me. Per me fu un tonfo….” Era l’estate del 1964 e i giovani che avevano lasciato un segno indelebile in don Luigi Valentini ancor prima di incontrarli, erano i famosi giessini.
“Quella descrizione mi incuriosì tantissimo e dissi: ‘voglio andare’. Allora si presero i contatti coi ragazzi di Rimini, io parlai con Marina Valmaggi (fra gli iniziatori di Gs a Rimini, ndr), con la quale poi siamo diventati amicissimi, e le chiesi se avessimo potuto vedere l’esperienza che stavano facendo”. Il viaggio a Rimini fu organizzato in brevissimo tempo. “Un fine settimana io e quattro studenti che frequentavano la Casa dello studente di Fermo, siamo saliti in auto diretti in riviera”. La scoperta fu sconvolgente e attraente allo stesso tempo: “Vedere questi giovani allegri, ragazzi e ragazze insieme, che per l’epoca era una novità assoluta, rapportarsi con molta libertà e con gioia, fu per me impressionante, un vero colpo. E ho pensato: ‘allora i giovani di oggi rispondono a qualcosa!’. Lì vedevo realizzato ciò in cui io avevo fallito…”
Gs in quegli anni era organizzata con un metodo molto preciso: “In un sabato si proponeva ai ragazzi qualche aspetto del Vangelo da vivere, la proposta con la quale misurarsi nel concreto, e il sabato successivo si svolgeva il “raggio” (momento verifica e di paragone fra l’esperienza cristiana vissuta e le domande che sorgevano, ndr). Io ero capitato all’incontro di Rimini nel sabato nel quale si faceva la proposta. Entro nel salone insieme ai miei ragazzi e vedo centinaia di loro coetanei, tutti zitti e attenti, impegnati a prendere appunti, e don Giancarlo che parlava. Erano così presi questi ragazzi da quello che don Giancarlo diceva, mentre io non comprendevo proprio niente, che mi dissi subito: ‘io che ho studiato tanti anni filosofia e teologia non sto capendo niente, però la cosa è vera. Qui c’è qualcosa di interessante e di grande, questa è la cosa che fa per me’. Solo in seguito mi sono dato una spiegazione del fatto che non capissi niente: perché le parole di don Giancarlo erano così profonde che cercavano di leggere l’esperienza, e tradurre l’esperienza in parole, me ne accorsi dopo, è difficile”.

Don Giancarlo Ugolini è morto il 4 ottobre 2009. Nello stesso giorno del 1962 c'era stato il primo incontro di Gs a Rimini

Don Giancarlo Ugolini è morto il 4 ottobre 2009. Nello stesso giorno del 1962 c’era stato il primo incontro di Gs a Rimini

Tra don Luigi Valentini e don Giancarlo nacque un’amicizia profonda (“bellissima”, la definisce lui). La scoperta di Rimini generò anche il radicamento di Gs nelle Marche: “Il 7 febbraio 1965 facemmo a Fermo il primo incontro di Gs, la prima città nelle Marche dove si è irradiata Gioventù studentesca, quindi a Camerino, Macerata…. Don Giancarlo è stato per me un punto di riferimento determinante: molto intelligente, pieno di iniziativa, e non a caso a Rimini sono nate opere tanto importanti, come il Meeting e le scuole, ricordo bene la serietà che metteva in tutto. E soprattutto grazie a lui ho capito il carisma di don Giussani. Perché non capivo quello che diceva don Giancarlo ai suoi studenti? Questa è stata per me una domanda che mi ha accompagnato per molto tempo. Attraverso don Giancarlo ho capito la mia distanza dalla impostazione di Giussani: quello che avevo studiato per tredici anni in seminario era di trasmettere delle idee chiare e distinte, ma con le idee chiare e distinte al massimo si sviluppa una dialettica che suscita dialettica e ognuno rimane con le proprie idee. Giussani ci ha messo invece in condizione di trasmettere la vita, una vita che è stata toccata da Cristo, e quindi è dentro l’esperienza che si scopre la consonanza, l’armonia tra quello che il Signore ci propone e il nostro cuore… e questo è difficile dirlo, è più facile viverlo e don Giancarlo mi ha insegnato questo”.
Dall’incontro con don Giancarlo Ugolini a quello col leader carismatico (“Giussani mi ha affascinato subito, aveva la voce roca, rasposa, ma parlava con una tenerezza che ti entrava dentro”) è stato un concatenarsi di fatti, tutti originati dallo stupore di quello che don Luigi Valentini aveva visto a Rimini. Il cuore cattolico, cioè universale, di Gs prima e di Cl poi porterà don Luigi Valentini in Brasile. Un primo contatto nel 1967 e poi definitivamente dal 1970, partendo da una parrocchia alla periferia di San Paolo, quindi dividendosi fra la pastorale universitaria e le favelas. Lì si imbatte in un fatto tragico, la morte di tre bambini arsi vivi nella baracca dove i genitori li rinchiudevano quando andavano al lavoro per non lasciarli in strada. Il prete marchigiano costruisce la prima struttura per accogliere i bambini che rimanevano soli nel tempo in cui i genitori lavoravano. Poi grazie anche ai soldi raccolti in Italia ha creato una decina fra asili nido, scuole materne, dopo scuola e molto altro a San Paolo, Belo Horizonte, Salvador di Bahia, Samambaia. “Basta seguire quello che il Signore di volta in volta ti suggerisce. Un disegno meraviglioso, non previsto, non progettato, mai pensato”, dice lui. Costellato di incontri inattesi, come quello con don Giancarlo Ugolini e coi ragazzi di Gs sulla spiaggia di Rimini, da dove tutto si è originato. (c.m.)

Don Giancarlo Ugolini (foto Silvano Migani)

“Solo ad un Dio feriale io darei la vita”. Fermenti ad altre latitudini

Quello che segue è il racconto di una estate trascorsa nella missione di don Luigi Valentini, in Brasile. E’ di un giovane riminese, Angelo Lombardini, studente universitario: “In questi mesi ho vissuto una promiscuità con la Provvidenza mai sperata”.

brasile-foto-angelo-lombardini-minCome dice Enzo Piccinini “è difficile parlare in pubblico di quello che si ha di più caro e, non so voi, ma io, questa vita, è la cosa che amo di più, in assoluto.”
Io non ne parlo in pubblico ma è come se il mio “pubblico” fosse un giudizio che voglio dare a questo tralcio di vita “bella e santa”, dolce ferita che non si deve già cicatrizzare in un turistico ricordo di sette lettere: “Brasile”.
A trascinarmi a “scoprire un nuovo posto ai confini del mio mare” era stato, in un freddo pomeriggio di dicembre, il video di Giussani agli Esercizi.
Il mio amico Davide dormiva seduto di fianco a me ma io piangevo e piangevo perché, come mai prima, mi era apparso a fuoco che io dovevo “dare la mia vita a Cristo”, secondo una traduzione che ancora non conoscevo, ma allora mi era sembrato il solo battesimo ad una vita che fosse “umana” e che assomigliasse a Giussani, un uomo che si accorgeva anche delle cose più infime che aveva davanti e stabiliva con esse una relazione “giusta” essendone ultimamente grato (“guardate questo microfono! Potrei trattarlo male, e lo farei ingiustamente!”) e sempre “senza un sintomo di stanchezza” (“rileggo questo passo di Giovanni e Andrea per quasi la millesima volta dall’alto dei miei quasi cento anni d’età senza un sintomo di stanchezza”).
Piangevo perché pensavo a me che a “soli” 20 anni la sera mi sento sempre stanco e non è sonno.
Ho custodito questa scintilla nell’inverno e per molti mesi pregando con la paura che andasse alla deriva in un mite ricordo positivo (“ué raga, ‘cezionale il video del Gius!”) fino al 15 luglio quando, con l’intercessione della Madonna e di una compagnia troppo low cost, ho accarezzato per la prima volta questa calda terra rossa.
Sono voluto venire in Brasile per “iniziare un rapporto serissimo di conoscenza con Gesù”, che ancora non sapevo cosa volesse dire (era il mio santo Don Andrea ad avermelo scritto dopo gli Esercizi).
Allora sono voluto venire dove c’è chi, come la Rosetta, fa una vita più umile e simile che la mia alla vita che faceva Cristo ed ha anche una devozione per i bambini (“chi fa qualcosa a questi bambini lo avrà fatto a me”).
Proprio la Rosetta, quasi un mese fa, a tarda cena, battendo il suo pugno su una tovaglia di briciole, mi avrebbe urlato poi: “Ma cazzo, l’altro è Cristo!
Cristo carne, era questo che volevo, e meno paura di cosa fare nella vita (la mia sempre incerta facoltà, il Clu che riducevo ai modi di fare delle persone, l’asfissia della casa di Milano…)
Ma oggi, seduto dal tetto di questo traghetto, mio “duca” per Manaus, a pochi umidi giorni dal mio biglietto di ritorno per l’Italia, non so cogliere con un aggettivo solo (“bello”, “brutto”, “avventuroso”, “mistico”…) cosa ho vissuto in questi due mesi perché sarebbe sempre poco.
Non è stata solo la vita di prima con più amore al prossimo, diversamente bianchi e zanzare.
E’ stata proprio un’altra vita!
E non voglio parafrasare questa vita altra in poche sillabe che spero brillino solo di una non mia luce riflessa.
“Esposti a questa luce” mi sembra non più torbido che “l’ importante nella vita non è fare qualcosa ma solo nascere e lasciarsi amare”.
Io mi sono solo lasciato amare, senza fare altro.
I bambini della mia classe, l’ultimo giorno, tra letterine e pianti, mi hanno ringraziato, uno per uno, per “tutto” quello che ho fatto per loro ma io li ho solo guardati perché le parole che più mi ripetevano quando eravamo in classe o giocavamo fuori erano “aqui o!” (“Guarda qui!”).
Io li guardavo. Loro sorridevano.
Mi hanno amato, e amato da piangere e fare i disegni con i cuori, solo perché li ho guardati e senza fare “qualcosa” come suonare la chitarra, fare aeroplanini di carta o più palleggi di loro a calcio perché non lo so fare e a calcio mi umiliavano.
Pensa! Io posso essere utile a qualcuno anche solo con i miei occhi (e già li avevo!) che improvvisamente sono il misterioso ripetitore del solo segnale di pietà che questi bambini hanno nella vita e, ancora più che essere utile, sono amato!
Schiudo gli occhi sul cuscino quando mi alzo che sono solo un magro sonnambulo di carne ma sono già salvo, senza fare altro!
E nella vita potrò fare qualsiasi cosa, il venditore di patatine al casello in autostrada (come fanno qui) o attaccare le baleniere con Greenpeace ma io sono già salvo, amato, e lo sono sempre stato! Questo è “l’importante”!
Ed ancora, in questi mesi, ho vissuto una promiscuità con la Provvidenza mai sperata, e con “Provvidenza” “penso ad un amore più grande del mio” che, con la stessa misteriosa pietà mia per i bambini, ha avuto tanta pietà di me da trascinarmi, e da solo, su un aereo, farlo arrivare (e non è poco), farmi incontrare la famiglia di Bernardo (mio primo amico brasiliano, conosciuto quando sono arrivato) che mi ha trattato come un figlio (per un mese Bernardo ha dormito sul pavimento della sala per lasciarmi il suo letto e la sua camera); i bambini della scuola che mi hanno trattato come un “pai” (“padre”) facendomi chiamare dalla maestra della mia classe quando io tardavo ad arrivare; la Rosetta che, anche se sempre molto “sincera”, ha sempre cucinato per me e gli altri volontari della casa (e non è che non abbia la sua età o altro da fare).
Silvio e la sua famiglia che mi hanno ospitato in Amazzonia senza conoscermi prima o chiedermi un centesimo; e i tanti sconosciuti nuovi amici che ho incontrato nei miei improvvisati viaggi corsari nei fine settimana e che mi hanno voluto un temporaneo ma sincero bene aiutandomi a prendere un aereo per Manaus quando l’avevo perso, curandomi quando ero malato, dormendo con me sul pavimento dell’autostazione di San Paolo per non lasciarmi da solo…e molti altri atti puri e imprevisti di iridi che, anche solo con quell’ateo ottimismo “che vedrai che va tutto bene stai tranquillo” mi hanno costretto a commuovermi sempre, essere “querido” (“caro”).
Ed è anche sempre andato tutto bene!
Sono solo alcuni ricordi di questa umidità beata dove io, che avevo solo comprato un biglietto aereo portando pizze in bici per pagarlo, mi ri-conosco più semplice e più salvo.

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