Il bar Tricheco è un “abuso in area archeologica” e va demolito. Invece il Ceis?

Il bar Tricheco è un “abuso in area archeologica” e va demolito. Invece il Ceis?

Quando la realtà ci costringe ad aprire gli occhi. Due pesi e due misure davanti a due strutture "abusive" che insistono su aree archeologiche. Una, un bar, sarà demolita. Un'altra, l'asilo Italo svizzero, nonostante "impedisca la piena fruizione di un monumento tanto significativo per la storia non soltanto riminese, nonché l’accesso da parte della cittadinanza ai valori storico-artistici di cui tali resti sono testimonianza", continua ad okkupare l'Anfiteatro romano. Nel silenzio del Comune di Rimini.

Chiude un altro storico bar in Piazza Malatesta, e subito verrebbe da pensare che la causa sia quella della sua collocazione geografica, lontana dal quadrilatero felice delle cantinette. Invece no.
La motivazione è quella che sorge su un’area comunale, ma vi è di più. E’ decisione della Soprintendenza, così riportano i quotidiani di domenica, che ha inviato una lettera ufficiale di diffida evidenziando che il manufatto, peraltro abusivo, costruito sulle mura Malatestiane è di fatto insanabile. La struttura (udite udite!) quindi verrà demolita perché è un abuso in un’area di interesse archeologico, peraltro arricchita da un bel condominio soprastante, e da una notevole apertura ricavata nel paramento murario Malatestiano poco più appresso. Mentre su quell’area sorgerà un estetico spazio per moto e bici. Bene si dirà: la legge è legge e deve essere rispettata e applicata per tutti indistintamente, e qui si fa sul serio. Poi però volendo pure sorvolare su quel che sta avvenendo nell’intorno del Ponte di Tiberio, e guardando la considerazione che godono le restanti mura Malatestiane cittadine, magari in uno stato formale migliore, dove l’incuria e la vegetazione spontanea le fanno risaltare per il loro degrado, tale provvedimento inizia a perdere di comprensione. Fino ad apparire paradossale ed inspiegabile se si pensa al caso dell’Anfiteato.

Anche quel luogo, di rilevanza archeologica ben maggiore, è occupato da una struttura educativa stanziale di gran lunga più ampia del povero bar, e che come quest’ultimo non riveste alcuna funzione di pubblica utilità semmai questa fosse una plausibile giustificazione. Anche qui esiste un vincolo archeologico di vecchia data come pure le varie e reiterate esortazioni della Soprintendenza per sgomberare quel sito, ma in questo caso non succede assolutamente nulla. Nessuna solerzia al pari del primo caso. Anzi si fa finta di nulla tentando di far passare la struttura come il vero monumento (nonostante anche di recente e nientemeno che da un sottosegretario del ministero competente, sia stato ribadito che “le strutture del Ceis impediscono la piena fruizione di un monumento tanto significativo per la storia non soltanto riminese, nonché l’accesso da parte della cittadinanza ai valori storico-artistici di cui tali resti sono testimonianza”), e che non vi sia alcun contrasto con l’interesse archeologico. Quindi stessa legge, casi analoghi, anzi … ma applicazioni diverse tra loro. Una situazione incomprensibile?
Il lato peggiore dei misteri è quello di non capirne mai la verità; quello migliore è che ognuno di noi può trarre le considerazioni che reputa più plausibili.

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