Radici

Radici

Quelle storiche, architettoniche, archeologiche, che solitamente si riassumono con la definizione di «beni culturali». E quelle degli apparati radicali (ma più in generale gli alberi stessi, in alcuni casi monumentali, e dunque il patrimonio ambientale della città). Entrambe queste radici sono messe a dura prova.

Piazza Malatesta come un laboratorio a cielo aperto, in continuo divenire. “Rimini dove tutto s’immagina”, riferisce lo slogan stampato sulle recinzioni del cantiere. Ma anche oltre l’immaginabile, come sostengono alcuni architetti, così come insigni storici dell’arte, politici dell’opposizione e diversi studiosi non allineati alle trovate onirico – visionarie veterofelliniane del Principe Andrea da Rimini e della sua giunta. Giunta dalle quale si è smarcato Davide Frisoni, uscito dall’organo collegiale riminese in aperto dissidio con il medesimo. Del resto, che ci sta a fare un presidente della Commissione Cultura (Frisoni, appunto) se poi viene tenuto all’oscuro di cambiamenti così radicali dedicati alla piazza storicamente più importante di Rimini?

Il platano superstite (da considerare monumento ai caduti) di piazza Malatesta ombreggiava i riminesi già nel 1925. Quello a fianco invece è stato ingenerosamente raso al suolo.

Ai dissenzienti va aggiunta Italia Nostra. L’associazione ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica. In sostanza, in nome dell’articolo 9 della Costituzione italiana, la “onlus”, che come missione si prefigge di proteggere i beni culturali e ambientali del Paese, chiede di fermare lo scavo davanti a Castel Sismondo di cui si intende riempire parte del fossato “con la vasta costruzione in cemento armato degli impianti della fontana”, come da progetto dell’Amministrazione riminese. La valutazione sul buon gusto e sull’efficacia teatrale dell’operazione attiene alla sensibilità soggettiva. Al di là di questo assunto, si nutrono molti dubbi circa l’opportunità di porre in essere il controverso effetto scenografico. Ma, sopra ogni cosa, aleggia una domanda capitale: l’ornamento acquatico in oggetto rispetterà il binario storico del contesto in cui verrà posto? È lecito domandarselo perché purtroppo, negli ultimi anni le scelte della pubblica amministrazione riminese hanno deragliato più volte dalle rotaie della coerenza storica, senza che il Capotreno (si legga Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio) prendesse provvedimenti di sorta. Comunque, se come si presume, non ci saranno interventi per ostacolare l’inerzia del convoglio ormai lanciato a tutta velocità, si valuterà la coerenza dell’operato solo a lavori ultimati. Ma a quel punto i giochi saranno fatti. Non si potrà più tornare indietro. Con buona pace di tutti i riminesi che pur non essendo disposti ad accettare supinamente decisioni prese a testa bassa, ignorando qualsiasi parere dissonante, devono rimettersi all’incrollabile determinazione del dispotico (lo dicono anche “i suoi”) Macchinista. Sarà un disastro ferroviario.

Le balaustre del lungomare “impacchettate” per finire in «archivio».

In ordine al concetto che la prevenzione è spesso più efficace della cura, l’architetto Roberto Mancini, come privato cittadino attento alle fondamenta storiche e paesaggistiche di Rimini, pur sapendo di provocare dermatiti diffuse, è andato personalmente presso gli uffici comunali a chiedere se le balaustre in pietra smontate mesi orsono dal lungomare e non più funzionali al nuovo “Parco del Mare” (il cantiere è stato riaperto di recente), fossero state conservate per eventuali futuri riutilizzi come facevano i nostri progenitori, gli antichi romani. Mancini, fortunatamente ha ricevuto ampia rassicurazione al riguardo: “sono state sistemate nel deposito comunale di via della Lontra”. Bene.

E le ormai introvabili e non più in commercio selci del Marecchia che creavano una sorta di marciapiede a raso lungo via Poletti, rimosse in queste ore per posare tubazioni, verranno rimesse al loro posto o diversamente, che fine faranno? E i diecimila e passa metri quadrati di ciottoli ottocenteschi allineati come soldatini sotto l’asfalto di piazza Malatesta, scalzati per far posto alla pavimentazione che verrà posata, incontro a quale destino sono andati? Triturati, rivenduti, svenduti, stoccati pure loro nel deposito oppure regalati o quasi, come successe decine d’anni fa alle antiche bitte del molo in pietra d’Istria fino ad allora usate per l’attracco dei trabaccoli?

Bitte superstiti, ma dove?

Gli interrogativi sono molti. L’ultimo: c’è forse scarsa sensibilità al passato, alla storia, all’importanza delle nostre radici? L’architetto è convinto di sì. Non è il solo. Già che le ho evocate, credo sia il caso di riproporre lo spinoso tema, ma riferito ad altre “radici”. Gli esperti di botanica (non di Rimini, per evitare imbarazzi) che ho interpellato, sono concordi riguardo a una regola basilare per la salute degli alberi: gli scavi effettuati troppo vicino ai loro apparati radicali sono molto pericolosi. Esistono parametri minimi che andrebbero rispettati. Sembra “l’abc del piccolo agronomo”, ma dato che Rimini sembra spesso piuttosto distratta al riguardo, un po’ di ripasso non fa certo male.

Per sintesi cito poche righe tratte dal sito dell’associazione Coordinamento Nazionale Alberi e Paesaggio Onlus, non proprio l’ultima arrivata in Italia, in materia botanica e guarda caso, in linea con quanto detto a voce dagli agronomi con cui ho parlato. “Il rispetto della Zona Critica Radicale (CRZ) della pianta è fondamentale in ogni tipo di intervento. È estremamente pericoloso lavorare sull’apparato radicale in prossimità del tronco dell’albero, eliminando radici portanti e provocando squilibri della pianta. La CRZ può essere definita la zona rossa intorno all’albero che non va mai toccata dove si trovano le radici fondamentali per la salute e la stabilità. La buona progettazione dovrebbe prevedere sempre aiuole ampie con terreni profondi e ben lavorati in cui l’apparato radicale possa svilupparsi liberamente e senza ostacoli e dove ci sia il massimo rispetto della Zona Critica Radicale. Fondamentale è il rispetto della Zona di Protezione dell’Albero (TPZ) che generalmente viene segnalata nell’area di proiezione della chioma dell’esemplare”.

Lavori anche nel Giardino di Paolo e Francesca.

Gli infiniti sconquassi di piazza Malatesta, nel giardino di Paolo e Francesca o in via Bastioni Settentrionali avranno tenuto conto di questi parametri? Motivi per far storcere il naso agli agronomi (sempre rigorosamente di fuori Rimini), ce ne sono a bizzeffe.

Leggendo qua e là sul web, tuttavia esistono soluzioni per non compromettere le radici di piante in prossimità di strade, piste ciclabili e marciapiedi (per esempio, si veda il sistema “Cupolex radici”). Uno degli esperti botanici che ho avuto il piacere di incontrare di persona, non era affatto d’accordo con le luminarie con cui per circa un anno è stato addobbato il “platano dei Malatesta” di fianco al teatro Galli, in via Poletti. Questo perché il calore sviluppato dalle lampadine non giova alla fioritura. Perché gli alberi, come gli umani, hanno bisogno dell’alternanza di luce e buio. Perché le luci artificiali hanno l’effetto di attirare insetti che si cibano di legno (xilofagi) e in ultima, ma non trascurabile considerazione, sono parole sue, “perché bisogna sempre partire dal fatto che si deve avere rispetto delle piante”.

Il platano dei Malatesta.

Auguriamoci che gli attuali interventi nella zona del platano siano utili ad aumentargli spazi, area vitale e a salvare il fratello minore là accanto, salvato anni fa dal Wwf Rimini, ma nuovamente in odore di soppressione. Recentemente, bene ha fatto l’Amministrazione a togliere all’albero-monumento gli addobbi che ricordavano, tanto per restare in clima felliniano, le luminarie del transatlantico Rex in “Amarcord” o “Il Cavaliere elettrico” di Sidney Pollack.

Foto gentilmente concessa da un lettore.

La mattina del 2 febbraio, sbirciando il cantiere in via Poletti come un “umarell” alla Danilo Masotti (inventore dell’azzeccato vocabolo bolognese), noto e fotografo uno scavo molto vicino al grande albero. Se non vedo male, le radici si sono infilate sopra l’antica conduttura che dalla fonte di epoca romana di via Dario Campana portava acqua alla Fontana della Pigna di piazza Cavour. Subito dopo pranzo mi precipito di nuovo sul posto per scattare ancora qualche immagine, magari migliore. Delusione: hanno già ricoperto tutto. Metto comunque a disposizione del lettore le foto che evidenziano quanto detto in precedenza. I platani di quelle dimensioni hanno radici proporzionate alla loro regale imponenza, perciò meritano particolare cura e grande attenzione. Prima o poi dovremo metterci in testa che un albero non è un palo della luce. Questo principio è valido per il comparto pubblico così come per il privato.

Si vedano le palme, presenti da almeno un decennio sul lungomare, adoperate a mo’ di supporto, funzionale ai più stravaganti impieghi dal proprietario. Se in questa città ci fosse veramente attenzione al verde, la foto pubblicata (non è la prima volta che il giornale lo fa) susciterebbe indignazione e interventi della Pubblica Amministrazione. Di conseguenza, al proprietario del locale, esprimere una “creatività” del genere non sarebbe più permesso. Ma siamo a Rimini “dove tutto s’immagina” e quasi tutto, come detto, è immaginabile. Basta che sia organico al divertimentificio. Ricordate il tristo neologismo degli anni ’80? Quello.

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