Si sarebbe dovuto fin dall’inizio nominare un Direttore Artistico di livello internazionale in grado di fare della Sagra quello che, per esempio, le direzioni artistiche del Festival di Spoleto hanno realizzato negli anni: fare di Spoleto (ovvero di Rimini) un evento di cui si parli a New York, Londra, Parigi eccetera.
Da addetto ai lavori, mi permetto di eccepire sul fatto che la Sagra Malatestiana, come ha denunciato qualche giorno fa Rimini 2.0, “…se fosse un’azienda sarebbe al collasso.”
Mettiamoci il cuore in pace.
Se lo spettacolo italiano ma anche europeo (teatro, musica, danza e cinema) dovesse vivere di sbigliettamento e sponsor privati, scomparirebbe dall’oggi al domani.
L’industria dello spettacolo esiste, in quanto industria, solo nei paesi anglosassoni, dove però un biglietto costa dieci volte quel che costa in Italia: fino a duecento dollari (o sterline) invece che venti Euro di media.
Si può recriminare quanto si vuole sullo statalismo del nostro sistema, ma questa è la situazione e di qui non si scappa.
Il problema della Sagra è semmai un altro, nel senso che, visto quanto costa, si sarebbe dovuto fin dall’inizio nominare un Direttore Artistico di livello internazionale in grado di fare della Sagra quello che, per esempio, le direzioni artistiche del Festival di Spoleto hanno realizzato negli anni: fare di Spoleto (ovvero di Rimini) un evento di cui si parli a New York, Londra, Parigi eccetera.
Grazie a una rete di rapporti artistici e personali, nonché autorevolezza professionale, che nessun impiegato comunale messo lì a dirigere la Sagra potrà mai avere, e non per sua colpa.
Per colpa invece dell’inguaribile grettezza e provincialità d’un ceto politico che vuol far tutto lui e, così facendo, distrugge ciò che ha per le mani causa incompetenza e superficialità assolute.
Come è successo per Aeradria e come succederà a breve per la Fiera.
Altro esempio clamoroso è quello della ricostruzione del Galli.
In ogni paese civile, prima di costruire o ristrutturare un teatro importante, la prima cosa che si fa è nominare un Direttore Artistico di livello, al di fuori e al di sopra della paccottiglia impiegatizia che si usa dalle nostre parti.
Con l’aggravante che per il Galli si sono spese decine e centinaia di miglia di Euro per commissioni deputate a studiare la questione fatte di politici trombati, presidi di liceo e messi comunali.
Gente cioè senza nessuna competenza in campo teatrale, tale da poter dare un indirizzo autorevole non solo alla programmazione del futuro teatro, ma anche alle scelte costruttive.
Qua invece, nella felice terra della sinistra di crozza e di governo, niente di niente.
Il risultato è un carrozzone in cemento armato tirato su con la mentalità dei geometri, nella miglior tradizione di ciò che tutto il mondo conosce come “Riminizzazione”.
Per finire, ecco un aneddoto raccontatomi da Sergio Zavoli quando io lavoravo in RAI e lui ne era il Presidente.
Nell’immediato dopoguerra, quando la Sagra si svolgeva all’interno del Tempio Malatestiano, fu invitato ad esibirsi un famoso violinista, l’Uto Ughi dell’epoca.
Il quale, arrivato a Rimini in una giornata particolarmente fredda e ventosa, chiese di poter visitare il luogo dove si sarebbe svolta la performance.
Un impiegato comunale lo accompagnò all’interno del Tempio, dove si bubbolava dal freddo.
Al che il violinista provò a far notare che con quel freddo era impossibile suonare il violino, perché mai e poi mai i polpastrelli delle dita, irrigiditi dal freddo, avrebbero potuto premere ad arte le corde dello strumento.
Al che l’impiegato di regime, guardandolo da sotto in su, sbottò in un “Eh! Tan ci un cumpagn?” che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto tagliare la testa al toro.
A dimostrazione del fatto che a Rimini, in quanto a ignoranza crassa e piccineria dirigista, da Ceccaroni a oggi non è cambiato niente.
Fotografia: il sopralluogo, lo scorso marzo, della IV Commissione consiliare al cantiere del Galli.
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