Chi ce l'ha un anfiteatro si dà da fare per metterlo a disposizione, prima possibile, dei visitatori: "Lo riapriremo costi quel che costi" dice ad esempio il sindaco di Ancona. Parole che sarebbe bello poter ascoltare dal primo cittadino di Rimini.
Ogni tanto ci piace tornare sul tema dello sfortunato anfiteatro riminese, vera e propria spina nel fianco, oltreché fastidioso e ingombrante rudere così percepito dai nostri amministratori cittadini, che si tramandano di generazione in generazione questa ossessiva incombenza senza risolverlo. Non è un “disco rotto” come qualcuno di recente ebbe a dire, ma a Rimini è proprio lo strumento che lo dovrebbe riprodurre – il giradischi – a non funzionare proprio.
Dopo avere dato conto dell’esperienza di monumenti analoghi, a Urbisaglia (qui) e a Vercelli (qui) anche Ancona ha qualcosa da insegnarci; fermi tutti, è un eufemismo ovviamente perché pare che a Rimini, come si dice a Napoli, i nostri amministratori sono “nati imparati”.
LA STORIA RECENTE
In un noto quotidiano locale delle Marche, il 30 giugno scorso è uscito un articolo sul predetto tema dal titolo: “Ancona, anfiteatro romano ed eventi, Silvetti (il Sindaco n.d.r.) «Lo riapriremo costi quel che costi»” (qui).
Anconetani e turisti non si erano mai rassegnati alla recente chiusura di quel monumento il quale, oltreché essere visitabile, era stato, per il decennio scorso con grande successo, protagonista di eventi di spessore culturale, ultimi quelli degli anni 2013 – 2014, che vedevano anche l’interesse e partecipazione di persone provenienti da fuori città. Definito un “gioiellino di epoca Augustea” ma anche “uno dei luoghi più magici di Ancona”, era solo soggetto a limitate visite in occasioni particolari.
L’articolo termina con la notizia che il primo cittadino avrebbe fatto un sopralluogo in quel sito, nell’ottica di un intervento di manutenzione e progettazione per rivalutare quell’area. Ma siccome altrove i propositi si concretizzano, ecco quanto si apprende in un successivo pezzo sul tema, uscito il primo luglio nel medesimo organo di informazione, dal titolo: “Ancona, l’anfiteatro si rifà il look. Subito riaperture straordinarie: «Ma la vera svolta nel 2024»” (qui).
E qui si narra di un’attività già in corso con contatti tra il sindaco e la soprintendenza, fin da subito, e la rassicurazione dell’ente preposto alla tutela che sono già iniziati gli interventi di manutenzione ordinaria, a cui seguiranno quelli di carattere straordinario grazie anche ad un cospicuo importo di un milione e mezzo destinato a tale scopo. Chi ha a cuore un obiettivo agisce in maniera rapida e concreta, non perde tempo e non accampa puerili banalità dilatorie.
Infine la finalità oltre l’accesso per le visite. Con una capienza di circa 2.000 spettatori, si intenderà riproporre spettacoli di valenza culturale, teatrali e musicali, richiamando anche protagonisti di livello. Una bella sinergia tra l’amministrazione anconetana e la soprintendenza locale per un nobile risultato, con il fine di riportare il sito ad essere un polo attrattivo di grande fascino e lustro per la città.
L’anfiteatro di Ancona, fonte Wikipedia: “… La cavea, con le sue 20 gradinate disposte su 3 ordini, poggiava a nord-est sulla roccia marnosa, tagliata per accogliere la struttura, e a sud-ovest su volte cementizie costruite in elevato. Si stima che la struttura potesse accogliere tra gli 8.000 e i 10.000 spettatori. Dalle gradinate più alte si poteva vedere il mare su due lati: verso nord-est il mare aperto e verso sud-ovest il porto. L’edificio si trova a poche decine di metri dalle rupi orientali del promontorio su cui sorge Ancona, a circa 50 metri sul livello del mare…”
… INVECE A RIMINI
Come ormai è storia nota il nostro – fastidioso – monumento è ancora in buona parte sepolto e inutilizzato. Ma gli ardimentosi visitatori attratti dagli ammiccanti cartelli che ne segnalano l’esistenza ed il luogo, possono solo ammirare un sito chiuso, inaccessibile ed incomprensibile nella sua forma e sostanza dalla presenza ingombrante di un corpo estraneo che ne annulla la dignità. E ciò nonostante esistano antichi vincoli archeologici, richiami ad ottemperarvi, strumenti urbanistici dedicati, e tante promesse – scritte sull’acqua – di trovare una soluzione a quello che è un vero e proprio degrado e avvilimento di quel monumento. A ciò si aggiungano le cicliche improvvisate di qualche personaggio di turno che annuncia sensazionali azioni, di dossier che poi vengono conservati nell’oblio, e altre inutilità organiche solo alla conservazione dello “status quo”.
Non è difficile pensare a cosa significherebbe il recupero dell’anfiteatro riminese, con capienza ben maggiore di quello di Ancona (10.000 spettatori), finalizzandolo ad un turismo di qualità oltre a soddisfare le aspettative di tanti concittadini. Oltre alle sicure visite al luogo, ben organizzato con tanto di spazi destinati in cui leggerne la storia con i tanti documenti e immagini a disposizione.
Ma pure assai di più. Si consideri il richiamo ottenuto per gli spettacoli e gli eventi culturali estivi che si potrebbero organizzare, sia di carattere musicale ma anche teatrale riferiti al repertorio classico della commedia greca antica; da inserire nel contesto del Festival del Mondo Antico, oppure nella Sagra Malatestiana ma, perché no, ideare una stagione culturale personalizzata. Sarebbe un fenomeno di assoluto e sicuro successo per una peculiarità che a Rimini manca, e certamente oggetto di grande interesse e partecipazione anche da fuori città; oltretutto favorita da un capiente parcheggio nelle immediate vicinanze, che non è poca cosa.
Cosa impedisce tutto ciò? Miopia politica, ideologia, mancanza di cultura o incapacità di sapere valorizzare correttamente le testimonianze del passato ed attualizzarle verso offerte turistiche sempre nuove? Sembra invece che sia più comodo e facile adagiarsi su fatterelli estemporanei e decotte sagre da strapaese. E tirare a campare approfittando del fatto che non vi sia alcun soggetto fattivo che sia in grado di ostacolare l’inerzia istituzionale, che perpetua con grande facilità quella tradizione degli amministratori cittadini già citata in apertura.
Il tutto si inquadra in un unico caotico non progetto, ma – ahimè – ben strutturato. La crivellatura del muro adiacente al Ponte Tiberio, la cementificazione della Piazza Malatesta e del fossato di un importante castello trasformano in un improprio e improbabile museo di cose avulse da ciò che quella fabbrica è, e gli edifici come il Palazzo Lettimi Maschi, l’ex Convento di S. Francesco ancora diroccati e degradati del cuore della città; infine la mala sorte a cui è destinata la statua di Giulio Cesare ora abbandonata nella ex caserma di artiglieria. E nel contesto aleggia la pretesa cittadina di divenire Capitale della Cultura per l’anno 2026, ma c’è da chiedersi se al comitato creato a tal fine, il contesto generale non faccia sorgere qualche dubbio. Sembra assurda quella candidatura data la situazione che ha visto la disattenzione per i residui monumenti cittadini e, quando materializzatasi, anche con effetti disastrosi. A meno che quel titolo non sia attribuito per altri scopi distanti dalla vera sostanza; ma non voglio crederlo.
È proprio del primo luglio l’articolo in vari quotidiani locali: “L’appello di artisti e intellettuali: “Il nuovo centro servizi distruggerà Casa Madiba e Don Gallo”, nel cui sito il comune di Rimini intende costruire un Centro servizi a bassa soglia. Rivolto al sindaco con 22 firmatari, di importante spessore culturale. Bene, pregevole e lodevole iniziativa.
Allora: AAA, intellettuali e artisti cercasi, per appello al sindaco al fine liberare e valorizzare finalmente il sito archeologico dell’Anfiteatro di Rimini. Diversamente sembra proprio che si operi sempre con due pesi e due misure.
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