Chiosco piazza Francesca da Rimini: il Comune deve risarcire Paesani

Chiosco piazza Francesca da Rimini: il Comune deve risarcire Paesani

«La condotta colposa dell'amministrazione si è dunque concretizzata nell'indizione di una procedura negoziata con una clausola “non verificata”, che ha indotto i partecipanti a sviluppare le rispettive scelte imprenditoriali confidando nel fisiologico esito finale». Palazzo Garampi dovrà sborsare quasi 20mila euro alla società The Sun. Più 4mila a compenso per la difesa tecnica. Ma c'è anche il paradosso di una Soprintendenza che dice no al dehor con pedana ma dice sì alla cementificazione di piazza Malatesta con piscina incorporata.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna «accoglie la domanda risarcitoria nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto condanna il Comune di Rimini al pagamento, a favore della ricorrente, della somma di 19.836,50 € (previa verifica con le modalità e nel rispetto dei tempi indicati)».
A dover essere risarcita dal Comune di Rimini è la società The Sun (difesa dagli avvocati Franco Fiorenza e Antonio Salamone) di Claudio Paesani, che così porta a casa questo risultato dopo vari ricorsi persi al Tar e al Consiglio di Stato.
La sentenza reca la data di oggi. La storia vede ormai diverse puntate. Nel 2019 l’amministrazione comunale aveva indetto una procedura negoziata senza bando per l’affidamento in concessione, per 8 anni, del servizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, all’interno del chiosco bar di piazza Francesca da Rimini, con un canone annuale di gestione a base d’asta di 8mila euro (più Iva). Ad aggiudicarselo era stata la società The Sun della famiglia Pesani. Ma, colpo di scena, con determinazione n. 1074/2021, l’amministrazione annullava in autotutela l’aggiudicazione definitiva. Come mai? La Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio espresse parere negativo sulla realizzazione di un dehor esterno annuale di “tipo B” (cioè con l’aggiunta di pedane e delimitazioni laterali ) in quel luogo, autorizzando solo un dehor stagionale – 1 marzo/31 ottobre – di “tipo A” (senza pedana). E siccome The Sun aveva presentato un’offerta che prevedeva il dehor di tipo B, il Comune ha deciso di azzerare tutto. Il vincitore è diventato il perdente e si è messa in moto una seconda procedura negoziata (che ha ridotto anche il canone annuo a 4mila euro, anziché 8mila) che tenesse conto delle “restrizioni” dettate dalla Soprintendenza.
E qui è d’obbligo una parentesi: la Soprintendenza che ha ritenuto eccessiva una pedana per i tavoli esterni del dehor, è la stessa che non ha battuto ciglio davanti al progetto del Comune di Rimini che ha cementato piazza Malatesta e costruito la “piscina” con tanto di vasca d’acqua che ha reso necessaria la costruzione di un “vano tecnico” di circa 100 metri cubi nell’area del fossato di Castel Sismondo, interrato ad una profondità di circa 4 metri. E tutto questo nonostante siano vigenti un vincolo archeologico che risale al 1991 e che riguarda il sottosuolo delle aree incidenti sul tracciato delle mura tardo imperiali e sull’area occupata dall’antico fossato difensivo della Rocca, ed un vincolo di inedificabilità che invece risale al 1915. Per la Soprintendenza pare risulti più impattante e lesivo della preminenza della Rocca Malatestiana un dehor per qualche tavolino piuttosto che tutto l’ambaradan messo su dal cessato sindaco a corredo del museo Fellini. Si dovrà pronunciare la giustizia su quello scempio, a seguito dell’esposto di Italia Nostra, e vedremo come andrà a finire.
Fra i tanti interventi che abbiamo ospitato su quel progetto c’è stato anche quello dell’ex Soprintendente Garzillo, che disse: «Si è preferita una soluzione invasiva costosa e evidentemente irreversibile, che molto difficilmente potrà consentire in futuro scelte diverse. Arte dell’effimero e del sogno, come è stato detto? Ho dubbi sul sogno, ma di effimero lì non c’è certo traccia» (qui). Mentre Pier Luigi Cervellati (qui) non era stato più tenero: «Quella vasca d’acqua le sembra … ma le sembra in sintonia con ciò che la circonda? Le sembra un intervento compatibile con un’opera d’arte vincolata e col fatto che il ripristino allo stato di fatto precedente non sarà assolutamente più possibile?» E poi Rimondini (qui), Alessandro Giovanardi (qui), Giulio Zavatta (qui)…
Andiamo avanti. Il Tar ripercorre tutta la storia del dehor, compresa la sua previsione anche nel progetto del museo Fellini, IV stralcio di piazza Malatesta, ed arriva a concludere che «il progetto proposto dalla ricorrente era coerente con le previsioni enucleate dalla stessa amministrazione comunale, la quale ignorava la posizione che sarebbe stata assunta dalla Soprintendenza». Chiaro no? Ed aggiunge: «Né il Comune può invocare, a sua discolpa, un orientamento favorevole della Soprintendenza in tema di autorizzazione di dehors di “tipo B” nel centro storico. Anche se è documentato l’assenso per alcune strutture similari nel Centro storico, è evidente che ogni posizione è diversa dalle altre, e comunque il progetto di cui si discorre è collocato in un’area di particolare interesse storico-culturale».
E così danno c’è stato. «La condotta colposa dell’amministrazione si è dunque concretizzata nell’indizione di una procedura negoziata con una clausola “non verificata”, che ha indotto i partecipanti a sviluppare le rispettive scelte imprenditoriali confidando nel fisiologico esito finale. Risultando accertato l’an del risarcimento, il Collegio deve affrontare la questione del quantum».
La «confusione generata dalle regole di gara» è stata quantificata in 19.836,50 euro. Riguarda le spese sostenute per l’assistenza per la partecipazione al bando, il costo della fideiussione provvisoria, la consulenza per la progettazione eventi del chiosco, spese legali ed altro.
Sentenzia il Tar che «il rimborso è tuttavia condizionato alla rigorosa dimostrazione della spesa effettivamente sostenuta, mediante esibizione, per ciascuna delle voci indicate, delle fatture quietanzate ovvero dei pagamenti tracciabili. La verifica dovrà avvenire nel contraddittorio delle parti, e l’amministrazione dovrà provvedervi nel termine di 45 giorni dal deposito della presente sentenza». E il Comune deve sganciare a The Sun anche 4mila euro a compenso per la difesa tecnica.

COMMENTI

DISQUS: 0