Dedicategli un busto in bronzo all'ingresso della Fiera. Se lo merita Lorenzo Cagnoni. Perché in passato ha avuto una certa visione e la capacità di pensare in grande. Ma adesso occorre un passo nuovo. L'ex vicepresidente di Ieg, ieri in commissione per raccontare la sua versione sulla mancata quotazione in Borsa, ha assestato colpi diretti a demolire il capo. Con affetto e ironia. A partire dalla efficace immagine del "parón".
“Dedicategli un mezzo busto a Lorenzo Cagnoni, forse anche un busto intero da mettere all’ingresso della Fiera”. Perché ha fatto tanto, ma adesso il condottiero farebbe bene a passare il testimone. Soprattutto dopo la cocente sconfitta subita sul campo di battaglia, il 5 dicembre scorso, quando dal quartiere fieristico è suonata la ritirata sul collocamento in Borsa. I busti e i mezzi busti, si sa, si dedicano alle glorie passate. E le parole eleganti dell’incipit, che si cuciono addosso al presidente di Italian Exhibition Group come un vestito nuovo, un capo di alta sartoria, potevano uscire solo da uno del mestiere, che di fashion se ne intende: Matteo Marzotto. Sono lontani i tempi in cui mangiavano il gelato insieme al Sigep.
Ieri pomeriggio Marzotto è stato in audizione nella seconda commissione consiliare, che lo ha chiamato a Rimini per fargli raccontare la sua versione dei fatti su Ieg, la mancata quotazione in Borsa, le ragioni delle dimissioni, i rapporti con Cagnoni e Ravanelli, le vicende più spinose legate alla gestione degli incarichi, agli appalti e ai premi di produzione distribuiti nel gruppo nato dalla fusione fra le Fiere di Rimini e Vicenza, tema quest’ultimo deflagrato a seguito della bomba sparata dal quotidiano La Stampa. Ma Marzotto non ha buttato il bambino con l’acqua sporca: ha ribadito che la fusione “è stata una operazione molto bella, è la prima volta che avviene qualcosa di simile in Italia e in Europa, io mi dichiaro orgogliosamente a favore di Ieg”. Però…
Ricordate cosa aveva sostenuto Cagnoni in un’altra commissione praticamente sugli stessi argomenti, cioè quella del 12 dicembre scorso? Che “Matteo Marzotto si era fatto un suo film”. Se si volesse proseguire sul filone inaugurato da Cagnoni, si potrebbe dire che il film che si è visto ieri è stato una sorta di Matrix fieristico, con Marzotto nei panni di Neo che ha fatto fare a Cagnoni la fine dell’agente Smith. E le parole di Neo Marzotto hanno illuminato gli occhi degli esponenti della minoranza, perché sono suonate come una conferma delle tesi sostenute negli ultimi mesi da Marzio Pecci, Gioenzo Renzi, Carlo Rufo Spina, Luigi Camporesi e Gennaro Mauro. Soprattutto sulla mancata quotazione come conseguenza di scelte sbagliate. Lo vedremo più avanti.
Il parón. “Cagnoni è un uomo capace e la città di Rimini gli deve riconoscere una certa visione, un certo coraggio, una capacità di pensare in grande. Poi però la gestione della cosa pubblica ha uno status diverso da quella del parón (il padrone in veneto, ndr) e bisogna che qualcuno glielo ricordi”. Più volte Matteo Marzotto ha utilizzato questo doppio registro: la carezza e lo schiaffo. Ha anche definito Cagnoni “personaggio di spessore” ma “molti anni al vertice ti inducono a credere che senza di te non ci sia più un futuro”. Fino ad assestare questa stoccata: “Il signor Cagnoni deve prendere atto del fatto che è stata la straordinarietà di Rimini che ha fatto succedere il miracolo della Fiera, comunque un miracolino, con tutto rispetto, perché la più piccola delle Fiere strutturate in Europa fa 400 milioni di fatturato”. Se nei confronti del number one Marzotto ha lasciato comunque trasparire un sentimento di affetto (“ho voluto bene a Cagnoni e credo lui a me”) e di riconoscimento di oggettive capacità, verso l’ad Ravanelli in alcuni passaggi è stato sprezzante: “Il 2017 e il 2018 sono figli della governance precedente”, ha spiegato facendo riferimento ai risultati di Ieg, non dell’arrivo di “quel signore lì… Ravanelli”. Il quale ha invece messo la firma sulla quotazione “che non è avvenuta”.
La liturgia del parón. “Ricordo una conferenza stampa ridicola del gennaio 2018: Cagnoni aveva convocato 23 giornalisti nella sala del consiglio di Ieg, lui si è seduto a capo tavola, lasciando due sedie vuote vicino a sé, perché il linguaggio dei gesti significa qualcosa. E’ chiaro che la prima domanda dei giornalisti è stata: ma Marzotto dov’è? Quindi è stato sollevato un polverone e abbiamo passato diversi giorni per cercare di rassicurare che tutto andava bene. In realtà non andava tutto bene e quello che è successo non ha fatto bene a Ieg. Oggi chi ha voglia di mettersi insieme a Ieg?”
Mesi buttati, treno della quotazione perso. Altroché colpa dei mercati, come hanno sostenuto da subito Cagnoni e Ravanelli per giustificare la mancata quotazione. Matteo Marzotto su questo punto ha fatto fuoco ed ha parlato la lingua delle opposizioni che dopo il 5 dicembre hanno mitragliato su Cagnoni e Ravanelli: “Intorno al 20 settembre 2017, ma volendo stare larghi possiamo dire dopo la fine di settembre, noi saremmo stati in grado di chiudere la selezione degli advisor finanziari e iniziare il processo di quotazione in Borsa. C’erano quindi sei mesi per fare la quotazione”, ha ricostruito Marzotto. Cioè il periodo compreso fra il 1° ottobre e il 30 marzo, “quando il mercato avrebbe avuto delle caratteristiche diverse rispetto a quelle prevedibilmente sfavorevoli di dicembre. Più passava il tempo e più aumentava il rischio. Il contratto iniziale prevedeva tre mesi per completare il business plan che invece si è chiuso a novembre”. Inutile prendersela col destino cinico e baro. Essere arrivati lunghi è stato un errore grave, decisivo secondo Marzotto ai fini della mancata quotazione. “La storia che non si potesse fare più velocemente è una balla, come quella del mercato cattivo. Certo, aspetta aspetta, il mercato diventa cattivo. Probabilmente si è perso tempo per progettare il colpo di stato, anzi di staterello, del 6 aprile (vedi sotto, ndr)”.
Hanno “bucato” la quotazione e non fanno nemmeno la finta di dimettersi? “Io non ho mai visto, salvo che in aziende familiari, bucare una quotazione in Borsa senza che al vertice aziendale non sorga nemmeno un dubbio…” Invece “loro due” (Cagnoni e Ravanelli, ndr) “sono lì a dire che sono bravissimi… e visto da fuori mi pare curioso che ci sia un gruppo di azionisti che accettano questo comportamento come niente fosse”. Ancora: “Le dimissioni l’azionista di maggioranza può sempre rifiutarle…”, ma almeno fate la mossa, è stato il ragionamento di Marzotto. “Qui invece rischia di passare il concetto che è sempre colpa degli altri. Quando i soldi sono tuoi e il debito cresce, aumentano le notti in cui non si dorme”, ha proseguito facendo riferimento alla sua esperienza personale, ma di “questo pacco di soldi di debiti (di Ieg, ndr) chi di loro due se ne dovrà occupare, e quando? Io ho qualche timore sui debiti, ce l’ho a livello di Dna, perché sono soldi da restituire, e poi la situazione con Unicredit, le azioni in pegno…”. Si sarebbe fatta la quotazione se a gestirla fosse stato lo stesso Marzotto? “Non sono in grado di dirlo, però neanche di sostenere il contrario”.
Chi ci crederà più nelle quotazioni di Ieg? “E’ come urlare al lupo al lupo! Non ti credono più. Sono tre volte che si annuncia la quotazione e non si fa. Con quella ipotizzata nel 2016 all’Aim non si andava da nessuna parte, si prendevano quattro noccioline…” Se ne parla dal 2002. E’ possibile che a breve si possa aprire una nuova finestra verso la Borsa per Ieg? A domanda Marzotto ha risposto così: “Non mi risulta che ci siano quotazioni che tornino possibili dopo sei mesi, l’aborto di una quotazione è un segno brutto…”.
L’impegno verso la quotazione, purtroppo vanificato. “Avevo una delega generica ai rapporti col sistema bancario e finanziario”, ha puntualizzato Marzotto. Però non è rimasto con le mani in mano: per la buona causa si è dato da fare, è andato dai vertici (“io conosco questi signori”) di Rothschild Italia, Intermonte, Equita, Lazard Italia e ha preso contatti con Mediobanca per predisporre la gara. Non è bastato.
Mi sarei dovuto dimettere dopo il 6 aprile. Cosa accadde il 6 aprile 2018? Durante la riunione del cda di Italian Exhibition Group la maggioranza dei componenti (Lorenzo Cagnoni, Barbara Bonfiglioli, Daniela Della Rosa, Maurizio Ermeti, Lucio Gobbi, Catia Guerrini) rassegnò le dimissioni, in anticipo rispetto alla scadenza prestabilita, formalmente per “assicurare agli attuali e futuri azionisti e investitori l’opportuna continuità e stabilità di governance” in vista della quotazione in Borsa. “Sono stato informato con una telefonata, come un perfetto fesso, che la maggioranza del cda era dimissionaria. Ho sbagliato a non dimettermi subito in quel momento, non avrei dovuto accettare quella stupida, inutile, violenza gratuita”, ha detto ieri in commissione Matteo Marzotto. “Però il sindaco di Vicenza mi chiese di rimanere e ho scelto di farlo anche perché è talmente bello il progetto di Ieg che sarebbe stato un peccato non portarlo fino in fondo”. Le dimissioni Marzotto le presentò a novembre, non dopo la quotazione, come prevedevano i patti sottoscritti (“un pasticcio gestito male dai soci di parte vicentina”), ma prima. “Da un punto di vista societario non ho mai visto comportarsi così male, con zero tatto e visione, salvo poi dire contestualmente ai giornali che l’azionista di maggioranza fa quello che vuole: questo è sbagliato perché il normale vivere civile è fatto da minoranze tutelate dalle maggioranze. Non è che siccome ho la clava più lunga te la do in testa perché tu ce l’hai più corta. Non è che quanto accaduto faccia un grande onore al territorio, adesso Ieg è tacciata di essere una società che prevarica”.
L’inchiesta della Stampa/1: l’Organismo di vigilanza. Il quotidiano di Torino scrisse che “una ricognizione interna ha fatto emergere una serie di rapporti con parti correlate quantomeno scivolosi”. Ieg smentì. Secondo Marzotto il tema delle parti correlate affrontato dalla Stampa, “sono cose che all’interno si sapevano e che attraverso l’attività dell’Organismo di vigilanza erano state messe in evidenza e si dovevano risolvere, perché in un’azienda quotata o quotanda, rappresentano aspetti molto molto rilevanti. E’ impensabile fare una quotazione trasparente con pratiche che non siano del tutto trasparenti”. E com’è noto la responsabile dell’Odv, Claudia Perucca Orfei, si è dimessa. “Trovo molto grave che il presidente dell’organismo di vigilanza abbia dato le dimissioni con quel tenore che si è letto sulla Stampa, e che non siano mai saltate fuori da parte della società: che un avvocato stimato, esperto in 231 (il decreto legislativo sulla responsabilità amministrativa delle società e degli enti, ndr) decida di andarsene è senz’altro rilevante”. Altro tassello: “Il fatto che si pagassero, penso che questo avvenga ancora, gli obiettivi del management in larga parte senza averli fissati, era una pratica che si conosceva”. Tutte “cose irrituali e sbagliate soprattutto in vista della quotazione”. Un punto di divergenza fra Marzotto e il cda fu anche la famosa decisione, dopo le dimissioni di Perucca, di accorpare in una sola figura sia la presidenza del collegio dei revisori dei conti e sia quella del comitato di vigilanza. Marzotto si oppose e ieri ne ha spiegato le motivazioni: “Sono convinto, e le migliori pratiche presenti sul mercato lo dicono chiaramente, che siano due ruoli che sarebbe molto meglio tenere separati perché c’è un evidentissimo conflitto di interesse fra controllore e controllato”.
La Stampa/2: la progettazione affidata allo studio di Amburgo senza gara. “Che la progettazione fosse stata affidata in maniera diretta allo studio Gmp di Amburgo, peraltro eccellente, io l’ho appreso quando sono stato invitato alla conferenza stampa a Vicenza di illustrazione del nuovo quartiere fieristico, il 16 maggio 2018: in quella sede i nuovi vertici di Ieg dichiaravano che il progetto del nuovo padiglione sarebbe stato realizzato dallo studio Gmp. La questione non l’ho mai vista passare nel cda”.
La Stampa/3: la valutazione sui manager rimasta nei cassetti. Il rapporto stilato dalla multinazionale sulla consulenza del personale, costato molto salato – ha detto Marzotto – e che pare assegnasse “voti” non proprio lusinghieri a diversi manager, l’ad Ugo Ravanelli l’ha tenuto nel cassetto: “Si è presentato in consiglio dicendo che di quel rapporto non si sarebbe fatto niente e che il business plan sarebbe stato organizzato diversamente”. Ma come, ha commentato Marzotto, “prima dai il mandato ad un consulente e poi dici che non ti interessa?”.
I viaggi di Cagnoni a Bologna. Marzotto ha anche rivelato “la spola di Cagnoni fra Rimini e Bologna”. Lo ha fatto quando l’interesse di alcuni componenti la commissione consiliare si era spostato sulla questione delle fusioni in ambito regionale e rispondendo alla domanda se Bologna abbia tratto vantaggio dalla mancata quotazione. “Per un anno dopo la fusione, il presidente Cagnoni è andato molte volte a Bologna a chiedere di fare la fusione. Lui non lo sa ma anche io conosco qualcuno, che poi mi telefonava e mi riferiva, ed io dicevo a Cagnoni: perché invece di tentare di mettere su questo accrocchio a Bologna, prima non facciamo la quotazione? Per me l’obiettivo era quello di quotare la società e di renderla veramente internazionale”. Anche perché “se un giorno sostieni che ti vuoi quotare e il giorno dopo lasci trasparire il fatto che stai negoziando per ulteriori aggregazioni…” si ingenera confusione. Marzotto ha poi demolito la logica regionale delle fusioni: “Non credo che abbia tanto senso parlare del sistema emiliano-romagnolo, sennò ripiombiamo a corpo morto nelle questioncine di cucina locale. Voi immaginate che il sistema emiliano-romagnolo sia il più importante? Ma per cosa?”.
Il licenziamento di Facco. “Mandare via il direttore generale in tempo reale nel modo peggiore possibile, poi il direttore del personale (ma c’è una fila di persone che se ne sono andate da Ieg) non si può chiamare normale avvicendamento”. Facco “era ed è ancora il manager più dotato d’Italia dal punto di vista della conoscenza dell’industria”, con all’attivo anche una esperienza a Monaco di Baviera in una delle più grandi fiere europee.
Basta matusalemmi al comando. “Ci vuole un quarantenne a gestire l’azienda, che abbia skills, che abbia girato il mondo, conosca le lingue, … io ci metterei uno straniero e andrei a pescarlo dai tedeschi, che fra l’altro adorano Rimini. Un giro l’avrei fatto (come presidente di Ieg, ndr) ma non ho versato lacrime, mi è solo seccato molto il mancato risultato. A Rimini, a Vicenza e in Italia avevamo la possibilità di dimostrare che non siamo il solito paese dei campanili, con due aziendine che si mettono insieme e poi litigano quattro giorni dopo, invece …”.
Il sogno sulla alleanza fieristica. Mettere insieme Ieg, le fiere di Milano, Bologna, Verona e Parma. Si darebbe vita ad una tra le prime dieci realtà fieristiche d’Europa, con 600 milioni di fatturato. La strada da seguire dovrebbe essere questa: “L’aggregazione delle 5 fiere che hanno nel loro portafoglio dei prodotti fieristici in proprietà e che rappresentano intere filiere nazionali, è un interesse superiore a quello delle singole città che ospitano i quartieri fieristici, e questo interesse nazionale andrebbe perseguito. Secondo Unioncamere il 75% dell’export italiano viene intermediato da fiere”.
Il Corriere di Durazzo. “Ci sono anche aneddoti divertenti all’interno della Fiera, gira ad esempio un foglietto che si chiama il Corriere di Durazzo, fatevelo dare, fa una satira che tira dentro tutti, destra e sinistra, presidente, vice…”. Ci piacerebbe leggere l’edizione speciale dedicata alla quotazione in Borsa.
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