Lo spavaldo Gnassi pontifica al Meeting sulla Rimini che non c’è, mentre piovono esposti e proteste

Lo spavaldo Gnassi pontifica al Meeting sulla Rimini che non c’è, mentre piovono esposti e proteste

Nell'allevamento artificiale di pesci rossi che è diventata la kermesse di Cl, c'è un po' di gloria anche per il Nostro

Mentre il sindaco si faceva bello in Fiera (ha promesso anche 5 mila posti di lavoro), a fianco dei suoi più famosi e televisivi colleghi, Italia Nostra annunciava di aver presentato l'esposto sul progetto Tiberio. Qualche giorno prima un noto esperto di turismo della stessa area politica di Gnassi, ha demolito il circo degli eventi che è la cifra di Gnassing. La propaganda si può fare in un workshop, ma la realtà si ribella.

Nell’edizione numero 38 del Meeting di Cl un personaggio come il sindaco di Rimini nuota come un pesce nell’acqua. Non solo lui, evidentemente. Nuotano tutti i pesci rossi ai quali viene acceso un microfono davanti alla bocca e possono spararla a piacimento. Sì, perché questi pesci parlano: dal premier ai suoi ministri (su tutti il caso Valeria Fedeli) passando per una lunga schiera di politici targati Pd, tanto che il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro l’altro ieri si è guardato intorno e ha dovuto dire, in apertura del suo intervento, che “la discussione è tale se ci sono anche altre idee, io ho ritenuto di venire anche se è evidente che sono in netta minoranza dal punto di vista politico”, e sono partiti anche gli applausi.
Andrea Gnassi al tavolo coi colleghi, che poco o tanto sono volti televisivi, almeno alcuni, aveva l’espressione del calciatore del Verucchio che in Autogrill s’imbatte in Higuain o Montolivo o Icardi o Dries Mertens, fate voi, e si sente come loro, e gongola convinto di essere arrivato in alto. Nell’allevamento artificiale di pesci rossi che è diventato il Meeting, Gnassi la tribuna l’ha sfruttata alla grande dicendo tutto quello che ha voluto (tanto chi avrebbe potuto contraddirlo?). La traccia del tema c’era ma ognuno l’ha interpretata a piacimento, come se il professore-moderatore avesse detto agli studenti: pavoneggiatevi come volete. E poi citare La Pira (“Il sindaco deve cambiare le lampadine ma deve anche pensare alla pace nel mondo”) è stato come solleticare l’ego smisurato dei sindaci, a partire dal nostro che è già ampiamente convinto di essere il primo cittadino del mondo.
Dario Nardella, Matteo Ricci e Giorgio Gori hanno fatto lo sforzo di non partire per la tangente ed hanno anche infilato qualche riflessione non banale. Per dire: il sindaco di Pesaro e quello di Bergamo hanno sottolineato il “deficit di speranza” che segna il nostro tempo e una delle conseguenze è quella che non si mettono al mondo i figli. Altroché problemi economici, il freno è culturale. L’ha spiegato bene Gori: “Ormai si declina la libertà come progressiva emancipazione da vincoli di tipo materiale e culturale, si considera la libertà esclusivamente nella sua dimensione individuale e in questa dimensione è evidente che fare dei figli è una fatica che cozza con la versione corrente della idea di libertà… ma noi non siamo solo individui, siamo anche parte della storia del nostro paese”. Già, perché chi eredita sono i figli, e se non nascono… Ed ha aggiunto che “si fanno più figli dove ci sono più famiglie, dove le persone si uniscono in matrimonio le famiglie sono più stabili e i legami sono più duraturi”. A proposito di figli (è emerso nel dibattito): Brugnaro 5, Gori 3, Nardella 3.
Il tema portante era infatti quello della “polis al centro della politica” ma in particolare il tema da svolgere verteva sulla dimensione demografica, tanto che l’incontro si è concluso con l’annuncio di un “patto dei sindaci” (regista Nardella, artefice anche del confronto fra colleghi) per una politica generativa in grado di far fronte alla emergenza demografica e incrementare l’attuale livello di natalità da 1,34 a 2 figli per donna. Il basso tasso di fecondità dell’Italia, il più basso d’Europa, l’invecchiamento della popolazione, un saldo naturale da brividi (perdiamo ogni anno 140 mila cittadini), la fuga dall’Italia ovvero il trasferimento all’estero da parte di un numero sempre più alto di italiani (nel 2015 ben 102.000 + 200% rispetto a 4 anni prima), eccetera. Questo lo scenario, nel quale è compresa anche Rimini.

Cosa ha detto Gnassi? La sintesi è questa: So’ er mejo fico der bigonzo. Nulla nel merito della questione demografica. Ha acceso il disco che fa partire in ogni contesto, a prescindere: dalla conferenza stampa a Palazzo Garampi al discorso di fine anno. Probabilmente il sindaco di Rimini non aveva capito che il tema sul quale l’avevano chiamato a dialogare non era quello della edizione numero 38 (questo compito di solito viene affidato a qualcuno di più importante): “Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”. Perché ha esordito dicendo: “Stiamo facendo i conti con problemi che ci vengono dal passato per cui abbiamo deciso di cambiare il modello di sviluppo…, consumo del territorio, 15 mila case sfitte, la rendita immobiliare …” Che, per inciso, non ha cambiato nessun modello di sviluppo (figurarsi se in sei anni si può cambiare modello di sviluppo), ma ha solo cambiato i portatori di interesse di riferimento. Senza l’era Gnassi Rimini avrebbe camminato verso il baratro, invece grazie a Dio ci è stato donato l’uomo della Provvidenza che sta risolvendo tutti i problemi che avevamo ereditato dal dopoguerra in qua. Ma proprio al Meeting di Rimini deve venire a raccontarci tutto ciò? Dove c’è anche qualcuno che lo conosce e sa quel che sta accadendo sotto Gnassing?
Ha avuto anche la faccia tosta di dire che “l’erede non pensa all’applauso, pensa al futuro”. Lo spavaldo Gnassi infatti fugge a gambe levate dai luoghi dell’applauso. E poi: “Noi abbiamo pensato come una famiglia che guarda al futuro”. Noi amministrazione comunale, chiaro. E’ stato pressoché l’unico riferimento alla famiglia fatto dal sindaco che dedica molta, ma molta, più attenzione al Summer Pride che alla crescita demografica. L’altro riferimento è stato questo: “Noi amministratori oggi dobbiamo avere la libertà e il coraggio di progettare sul lungo periodo, di guardare avanti, di mettere le basi perché cresca una famiglia, intesa come città”.

Una rapida carrellata di affermazioni gnassiane davanti al microfono del Meeting: “non faccio il sopra, faccio il sotto” (traduzione: fogne), “a Rimini si decide in rapporto col privato” (spiegazione per i non riminesi: il privato che piace a me e che mi ubbidisce), “abbiamo deciso di scommettere sui motori culturali” (scommettere nel senso che Rimini rischia di giocarsi i gioielli di famiglia: teatro Gallil’arch. Cervellati ha definito il recupero in corso uno scempio – il Castel Sismondo trasformato nel circo felliniano e il ponte di Tiberio forse irreparabilmente danneggiato nelle sue mura medievali-malatestiane, tanto che sono partiti già due esposti alla procura della Repubblica di Rimini, e autorevoli esperti in materia hanno parlato di snaturamento del luogo, scempio e così via, chiedendo di fermare i lavori, e sono state presentate varie interrogazioni: in consiglio comunale a Rimini, in Regione e in parlamento.
Ha regalato all’uditorio perle come questa: “Cancelli o cervelli? Si può pensare che la qualità della nostra vita sia determinata esclusivamente da tornelli e non semmai da cervelli?” Ma l’apice Gnassi l’ha raggiunto sparando un numero: ha detto che il recupero dei contenitori culturali porterà a Rimini “5000 posti di lavoro in più”. In attesa che il Rinascimento di Gnassi dispieghi le sue potenzialità ancora molto nascoste, il presente fa perdere le staffe anche ad un uomo riflessivo, mite, esperto di turismo, per una vita all’interno del sistema politico nel quale nuota anche il pesciolino rosso attualmente a capo di palazzo Garampi: “Non si può tenere sveglia una città intera per far divertire a colpi di decibel e di birra una masnada poco abituata al rispetto delle regole e delle altre persone. Nessuno il giorno dopo si è sentito in dovere di chiedere scusa”. Lo ha scritto Pietro Leoni sulla sua pagina Facebook. Il riferimento è alla spiaggia libera al porto, ormai trasformata in un altro circo dell’intrattenimento con la Summer Beach Arena. “Non va bene appropriarsi degli spazi pubblici per eventi il cui fine principale è portar soldi nelle tasche di qualcuno. Quest’anno abbiamo esagerato. La spiaggia libera è una spiaggia e tale dovrebbe rimanere. Poter godere del sole e del mare senza avvalersi dei servizi a pagamento è un valore aggiunto all’offerta turistica o no?” E poi: “Stesso ragionamento per il lungomare. E’ lecito chiuderlo per le feste dei vari locali e gli innumerevoli e, a volte inutili, street show? E’ questa la prospettiva sottesa all’idea di eliminarlo?” Nel suo lungo intervento Leoni mette in fila altri aspetti che stanno imbruttendo e peggiorando il turismo a Rimini, per concludere: “Rimini è terra libera e di libertà, il turismo stesso ricava energia vitale dalla libertà. Proprio perché deve rimanere una terra ove ciascuno possa sentirsi libero occorre impedire qualsiasi tipo di sopraffazione e violenza”. Ecco, di incrementare il turismo cafone Rimini non aveva proprio bisogno. Un po’ Gnassi l’ha ereditato dai suoi padri politici, ma poi quel che ha ereditato se l’è ampiamente riguadagnato.

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