Si attende il successore di mons. Lambiasi: nomi in gioco e bilancio di 15 anni

Si attende il successore di mons. Lambiasi: nomi in gioco e bilancio di 15 anni

Silenzio totale sul vescovo che lascia e su quello che si insedierà. Eppure per la Chiesa riminese e per la città si tratta di un passaggio importante e uno "scossone" sarebbe salutare. Vediamo di chi si parla per guidare la diocesi e mettiamo in fila alcune questioni aperte che il pastore che sarà scelto dal papa si troverà tra le mani.

6 settembre 1947 – 6 settembre 2022. «Il Vescovo diocesano che abbia compiuto i settantacinque anni di età è invitato a presentare la rinuncia all’ufficio al Sommo Pontefice, il quale provvederà, dopo aver valutato tutte le circostanze». Codice di diritto canonico alla mano, mons. Lambiasi, giunto al traguardo dei 75 anni di età, si appresta ad essere sostituito. C’è chi sostiene che sul nome del successore sarebbe già stato tutto sostanzialmente deciso e chi ritiene invece che le ultime pedine debbano ancora essere mosse. Più credibile che la strada sia ormai tracciata. Lambiasi pare desideroso di farsi da parte senza attendere troppo. Ovviamente non è escluso che il papa possa muoversi senza fretta né che, almeno sulla carta, sia possibile una proroga per Lambiasi. Ma quest’ultima ipotesi risulta poco probabile.
Ad oggi regna un silenzio assoluto e abbastanza surreale sia sul cambio al vertice e sia sui nomi in lizza, come se la Chiesa riminese non fosse alla vigilia di un passaggio importante, come invece sempre accade quando un timoniere lascia e un altro si insedia. Anche la calma piatta è oggetto di interpretazioni. Forse i giochi sono già stati fatti e si attende solo l’ufficializzazione di chi andrà a collocarsi nel solco della continuità con De Nicolò prima e Lambiasi poi? Perché, infatti, se c’è un dato abbastanza consolidato è che la diocesi di Rimini ha sempre avuto degli ottimi “protettori” in Vaticano, tali da indirizzare la scelta dei vescovi su personalità “in linea” con la sensibilità ecclesiale dominante dagli anni del post-Concilio in avanti. Negli ultimi tempi questi cardini teologici e ideologici si sono allentati, e l’ex direttore del Ponte don Piergiorgio Terenzi, in una intervista a Rimini 2.0 già nel 2013 parlava di una Chiesa locale «tanto lodata quando anestetizzata».
Due i profili ai quali si guarda nel tentativo di individuare colui che raccoglierà l’eredità di Lambiasi: un pastore già vescovo oppure uno di nuova nomina. Prassi vuole che il Nunzio apostolico per l’Italia e San Marino, dal 2017 mons. Emil Paul Tscherrig, raccolga la terna dei candidati frutto della “consultazione” fra i vescovi emiliano-romagnoli e la sottoponga al papa. Voce in capitolo ce l’ha ovviamente anche il card. Zuppi, che pur essendo diventato a maggio presidente della Cei, è ancora anche a capo dei vescovi della regione.
Tutto sta a capire quale identikit di vescovo venga ritenuto la scelta migliore per una diocesi come quella di Rimini, nella quale parecchi nodi sono venuti al pettine e un salutare scossone non farebbe certamente male.
Un vescovo con l’odore delle pecore, che cioè fosse autentica espressione della sensibilità e delle priorità che papa Francesco incarna sulla cattedra di Pietro, in una diocesi come quella di Rimini, che pure si presenta con l’etichetta progressista  ben lucidata (gli “ultimi”, gli immigrati, ecc.) probabilmente non avrebbe vita facile. Se fosse un vescovo, poi, di impronta wojtyliana o ratzingeriana, il campo che si troverebbe da dissodare richiederebbe un vomere assai robusto. Francescano oppure no, progressista o conservatore, chiunque arrivasse oggi in diocesi animato solo di vangelo, dottrina e carica missionaria, si troverebbe a dover fare i conti con “sovrastrutture” clericali, politiche ed economiche di non facile abbordaggio.

Chi potrebbe nominare Papa Francesco? I possibile candidati di cui si parla, ma l’elenco non è completo, sono mons. Valentino Bulgarelli, bolognese, classe 1968, sottosegretario della Conferenza episcopale, direttore dell’ufficio catechistico nazionale e fino a circa un anno fa anche preside della Facoltà teologica dell’Emilia Romagna.
Il secondo è mons. Giovanni Silvagni, vicario generale dell’Arcidiocesi di Bologna, dove ha preso il posto, nel 2011, di mons. Ernesto Vecchi. E’ nato ad Anzola dell’Emilia il 23 gennaio 1961. Sembrano alte anche le quotazioni di don Alberto Brunelli, originario di Ferrara, anche lui classe 1961, e dal 2018 vicario generale dell’Arcidiocesi di Ravenna-Cervia. I riflettori si sono appuntati per un certo periodo anche su mons. Andrea Ripa, riminese, giovanissimo (1972), in precedenza sottosegretario della Congregazione per il Clero, è stato chiamato dal papa al Supremo tribunale della Segnatura apostolica in veste di segretario, promuovendolo nel contempo a vescovo di Cerveteri. L’occasione della sua partecipazione a Rimini alla celebrazione e alla processione del Corpus Domini, lo scorso giugno, fra il popolo è stata vista come una sorta di investitura e una premonizione, ma niente di più infondato, perché della competenza di mons. Ripa al tribunale della curia romana il Vaticano non può permettersi il lusso di privarsi.
Resta invece del tutto aperto il tema degli accorpamenti di diocesi, argomento sul quale Bergoglio insiste molto e che ha ormai diversi precedenti in giro per l’Italia e anche in Emilia Romagna, come il caso di Carpi riunita nell’arcidiocesi di Modena-Nonantola. Perché la questione interessa anche Rimini? Perché mons. Andrea Turazzi il prossimo anno raggiungerà l’età della pensione e non è escluso che la diocesi di San Marino-Montefeltro possa ritornare in capo al vescovo di Rimini, come accadeva fino al 1995, quindi con le due diocesi non accorpate ma unite “in persona episcopi”.

Diocesi e debiti. Se non ci fossero stati i debiti, tantissimi, mons. Lambiasi avrebbe quasi certamente potuto aspirare, dopo una non troppo lunga permanenza a Rimini, ad una diocesi importante. La preparazione non gli manca. Invece qui ha raggiunto l’età della pensione. Era il 2013 quando questo giornale sparò la bomba dei conti in rosso, altrimenti ignoti alla stessa comunità cristiana. In una diocesi progressista i bilanci dovrebbero essere come minimo pubblici (come accade da anni in altre diocesi e come la Cei sollecita: qui) ma non era e non è così. Il “buco” aveva raggiunto i 36 milioni di euro, una voragine, ed era soprattutto figlio della stagione De Nicolò e dell’economo don Baiocchi. Lambiasi l’ha quindi ereditato, e in seguito assottigliato portandolo – ci assicurano – agli attuali «circa 12». Se ne gloria l’economo diocesano sul Ponte, sotto a un titolo un pochino mondano e molto propagandistico: Il Vaticano applaude ai conti della Diocesi. Ma la strada verso l’azzeramento del debito «è ancora lunga». Questa sorta di “cura Monti” sui conti diocesani non è stata indolore. Dall’esterno, ad esempio, si è assistito alla vendita di varie chiese, da quella delle Celle divenuta cattedrale ortodossa, a quella di Sant’Agnese passata alla comunità romena, fino al Suffragio di Santarcangelo, la cui ipotizzata cessione al Comune sta però incontrando molte resistente nella comunità locale. Ma anche in questo caso l’etichetta progressista non ha trovato riscontro nei fatti: la decisione è stata presa fra pochi e non condivisa fra il “popolo di Dio”. La diocesi si è anche alleggerita della libreria Pagina e della agenzia viaggi Ariminum. Nell’editoriale dell’ultimo Ponte si legge che: «Ha dovuto [il vescovo] convivere, anche pastoralmente, con difficoltà economiche, non determinate dalle sue decisioni, per molti anni. Tutto ciò certamente non lo ha aiutato in tante scelte che voleva fare, segni che voleva lasciare alla comunità cristiana. In quegli anni supportato dai suoi collaboratori ha comunque salvato il patrimonio di comunicazione che si era ritrovato e che anzi ha permesso crescesse, cosciente di tanti nuovi modi di annuncio del Vangelo, soprattutto a quelle che papa Francesco chiama “le periferie”».

Diocesi e politica. «La nostra Chiesa è in dialogo con tutte le parti politiche? Come candidata alle recenti amministrative, ho notato una certa freddezza nei confronti dello schieramento di centrodestra». Così si è espressa una partecipante all’incontro che si tenne il 17 dicembre 2021 convocato dal vescovo e rivolto ai politici. L’esito di quel confronto venne riferito da don Pierpaolo Conti, direttore dell’ufficio diocesano per la pastorale sociale, sul Ponte del 9 gennaio 2022. La diocesi di Rimini ha mostrato in più occasioni la propria simpatia verso lo schieramento di centrosinistra ed enorme distanza da quello di centrodestra. Ha espresso e sostenuto candidati cattolici alleati col Pd, che ha “mollato” una volta che questi hanno preso le distanze dal partito della sinistra. Il caso dell’ex vicesindaca Gloria Lisi è forse il più luminoso. Anche alle ultime elezioni amministrative l’aggregazione diocesana dei candidati cattolici schierati col Pd si è vista con chiarezza.
Ci fu poi il caso abbastanza clamoroso della «Carta dell’Amministratore, ispirata agli ideali e alle virtù cristiane e civiche del nostro beato», sottoscritta dal vescovo e dal sindaco Gnassi. Al di là delle intenzioni, una pessima idea, sia per il livello al quale è stato abbassato Marvelli, sia per lo stile politico e i valori laicisti professati da Gnassi. E ciò nonostante nei suoi discorsi pubblici, il vescovo abbia più volte messo nel mirino un certo modo di intendere e praticare la politica, come nel discorso alle autorità comunali e provinciali di Rimini per la festa del Patrono, anno 2009: «Secondo la dottrina sociale della Chiesa, l’autentica azione politica è a servizio del bene comune, un servizio prestato con coerenza, competenza e trasparenza. Se tutti devono cooperare all’attuazione del bene comune, alcuni hanno la funzione di coordinare e dirigere ad esso molteplici energie: sono i detentori della pubblica autorità. Il potere deve essere esercitato per il popolo e con il popolo: l’autorità è “vicaria della moltitudine”, affermava s. Tommaso. Se è vero che si deve educare alla partecipazione e alla vocazione politica, è anche vero che l’azione di quanti operano nella cosa pubblica ha una innegabile valenza educativa o diseducativa, a seconda che si metta l’etica al di sopra o al di sotto della politica». Il nuovo vescovo, da questo punto di vista, avrà davanti a sé un enorme campo di lavoro. Infine, anche Lambiasi ha ottenuto la cittadinanza onoraria, con una cerimonia pubblica che si è svolta il 19 maggio (qui). Solo un vescovo, dalla metà del 900 ad oggi, non l’ha meritata: mons. Giovanni Locatelli. La ottenne Biancheri, venne assegnata a De Nicolò, è toccata a Lambiasi. Locatelli ha lasciato Rimini in aperta rottura con il “cerchio magico” che comandava in diocesi e, guarda caso, niente riconoscimento per lui, pur essendo stato il vescovo della storica visita di Giovanni Paolo II al Meeting e pur avendo ricucito i rapporti con San Patrignano.

I contenuti della predicazione pubblica. Soprattutto nei primi anni, Lambiasi aveva dato prova di avere le idee molto chiare sulle vulnerabilità sociali e politiche di Rimini. Nel 2007, parlò dei giovani: «Che cosa offriamo ai nostri giovani e a coloro che qui convengono da varie parti d’Italia? Offriamo divertimento, consumi, stili di vita spesso sopra le righe. E’ di questo che hanno bisogno i nostri giovani? Interroghiamoci. E ancora: qual è il livello educativo della nostra scuola?».
Nel 2008 tenne una magnifica lezione su fede e ragione, ovvero la sfida di credere nell’era del narcisismo e del laicismo, e sembrò l’enunciazione del suo programma di vescovo nell’agorà.
Nel discorso al termine della processione del Corpus Domini, disse: «I cristiani, i laici in particolare, sono chiamati a trasformare in profondità la città dell’uomo in tutti i suoi ambiti: dalla cultura alla politica, dall’economia al lavoro, dalla famiglia alla scuola, dalla sanità al tempo libero. Si tratta di dare alla vita della città la luce di quella ispirazione più alta e la forza di quella marcia in più che derivano dal vangelo per renderla una città abitabile, degna della sua storia, all’altezza della sua vocazione».
Nel 2009 un memorabile affresco sul rapporto fra polo universitario e città, che gli fece fra l’altro pronunciare queste parole: «Dal contatto diretto con tanti studenti, sembra si debba desumere che spesso, al di là dell’offerta formativa, nella scelta di Rimini prevalga piuttosto l’immagine mediatica che riconosce a questa città il titolo di capitale del turismo, e di “divertimentificio” – brutta parola, ma soprattutto brutta realtà! – nell’opinione pubblica nazionale e internazionale. Non possiamo non porci la questione educativa di fronte a queste migliaia di giovani che arrivano nella nostra città».
Parlando alle autorità in occasione della festa di s. Gaudenzo, stimolava «l’elaborazione di un apposito piano strategico per la cultura, che in qualche modo dovrebbe rappresentare la bussola del piano strategico globale». Individuava l’obiettivo da perseguire nell’«accompagnare i cittadini e aiutarli a passare da spettatori a protagonisti, da utenti a corresponsabili», e aggiungeva senza mezzi termini che «nella gestione delle politiche culturali della pubblica amministrazione occorre stimolare, sostenere e valorizzare la soggettività della società civile», dando applicazione al «principio di sussidiarietà, di solidarietà e di responsabilità» contro l’invadenza del “pubblico”. Principi sui quali batterà più volte nel corso degli anni seguenti.
Nel 2010 un altro tassello programmatico. Arrivò a delineare «un’agenda di speranza per il futuro di Rimini», partendo dal presupposto che «è una città dal grande passato, e anche se il presente appare in chiaroscuro – con tratti positivi ma anche problematici – gode però di una notevole capacità di lavoro e di impresa che la può far tornare a crescere». Si soffermò sul piano strategico (da segnalare l’intervento di Lambiasi nel consiglio comunale sul tema): «Anche il mondo ecclesiale e cattolico ha accolto con entusiasmo l’invito a dare il proprio significativo e stimato contributo» ma «ora il “piano strategico” non può e non deve andare in archivio, ma merita di essere sostenuto perché sviluppi al meglio tutte le sue potenzialità. Per questo è di fondamentale importanza tenerne in vita la sua anima profonda che si identifica con quella “svolta (antropologica)”, che permetta alla Città di transitare dal fare all’essere, dalla Rimini ossessionata dalla ricostruzione materiale della sua veste esteriore – in ambito turistico, edilizio, spettacolare ecc. – ad una Rimini più attenta alla costruzione della sua identità e memoria, più attenta alla cultura, alla bellezza, all’educazione, all’accoglienza». Invece il piano strategico è proprio andato in archivio dal punto di vista della spinta di partecipazione e condivisione che ebbe nella fase iniziale, ma non risultano “bacchettate” del vescovo su questo aspetto.
Nel 2013 (sempre nel discorso alle autorità per s. Gaudenzo) inseriva uno spunto di lungimirante concretezza: «Se per i cristiani la polemica faziosa è scandalo, per la comunità politica c’è un malcostume da sradicare: quello di osteggiare, quando si è maggioranza, tutto quello che propone la minoranza o quello che ha fatto quand’era, a sua volta, maggioranza, e rifiutare, quando si è minoranza, tutto quello che dice e fa la maggioranza, semplicemente perché ora è maggioranza». Ma il decennio Gnassi si è affermato proprio come mancanza di confronto effettivo sulle scelte amministrative.
Arriviamo al 2014. «Va apprezzato lo sforzo dell’Amministrazione nella risistemazione della rete fognaria, nelle nuove pavimentazioni e con un arredo stradale più curato. Ma occorre anche riconoscere che nel centro storico e nei borghi molti edifici documentano un progressivo degrado: potrebbe essere utile un censimento delle abitazioni obsolete, inadeguate, a volte disabitate o male abitate; case molto piccole e a volte trascurate accanto a edifici più solidi e dignitosi. Forse i troppi vincoli scoraggiano dall’operare ristrutturazioni onerose e senza corrispondente ritorno economico. Una visione ristretta del problema rischia di rendere meno belle, abitabili e appetibili le zone centrali della Città».
Nel 2016 non passò inosservato l’invito a dimenticare il divertimentificio in favore della cultura: «Va anche riconosciuto come la gestione della politica culturale abbia evidenziato negli ultimi anni un rilevante miglioramento nell’offerta di importanti servizi: biblioteca, musei, mostre, festival, cicli di conferenze… Resta davanti a noi la sfida di trasformare nell’immaginario collettivo la rappresentazione della nostra Città: da consumistica “vetrina di eventi” a Città internazionale della cultura, a partire dalle sue elevate potenzialità, dal rapporto con la sua identità, con il ricco giacimento della sua memoria, con la sua vocazione all’ospitalità, all’amicizia, alla concreta solidarietà».
Nel 2017 il fortissimo affondo su Banca Carim, che però di lì a breve sarebbe passata in mani francesi, con tutte le conseguenze del caso, compresa la “polverizzazione” del valore delle azioni detenute dalla diocesi: «Una banca deve sempre mettere al centro del proprio operato il bene comune, di tutti e di ciascuno. Non quello di gruppi di pressione o di interesse, di corporazioni o gruppi di potere di qualunque tipo, favorendo così lo sviluppo della democrazia economica e scoraggiando la formazione di monopoli e le concentrazioni economiche e finanziarie».
Nel 2018 parlò di prostituzione, femminicidio e mafia: «Facciamo, tutti, tutto quello che possiamo, per non diventare complici di una mafia che vuole gestire le nostre strade di notte, per arricchirsi dell’ingordo mercimonio del corpo delle donne. La fitta rete costruita da trafficanti, sfruttatori e clienti può essere spezzata. Ma è urgente uscire dall’indifferenza e dal silenzio per cambiare la storia e il volto delle nostre città. Oggi stesso!». Insomma, non sono mancati gli orientamenti, salvo poi rinunciare a dar vita ad un percorso reale di unità fra tutti i cattolici impegnati in politica, di fatto appoggiandosi invece costantemente sul potere costituito. Chi volesse approfondire rileggendosi i discorsi di Lambiasi dal suo insediamento ad oggi, naturalmente molto più ricchi della nostra sintesi, può farlo sul sito della diocesi.

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